Il comandamento nuovo: «amatevi come io vi ho amato»

Letture del 6 maggio, 5ª domenica di Pasqua: «Riferirono alla Chiesa tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro» (At 14,21-27); «Benedirò il tuo nome per sempre, Signore» (Salmo 144; «Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 21,1-5); «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,31-33.34-35)

DI BRUNO FREDIANI

Dopo la denuncia del tradimento di Giuda ed il suo allontanamento dalla mensa dell’ultima cena, Gesù si incammina con decisione verso quella che l’evangelista Giovanni chiama «l’ora della sua gloria». Essa implica la passione e la morte in croce che sono viste, nonostante l’angoscia che comportano, come vittoria sul principe di questo mondo, cioè sul potere del male. Ai discepoli, che non possono ancora seguirlo e che rimangono nella tribolazione, Gesù lascia come testamento un comandamento che è «nuovo» per la perfezione a cui lui l’ha portato e perché costituisce il distintivo dei discepoli: «Figlioli, amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».

Egrave; l’amore stesso che è in Dio e che, attraverso un continuo scambio, stringe in unità il Padre, il Figlio, lo Spirito e la Comunità. Il comandamento è nuovo e capace di produrre novità. «Cieli nuovi e terra nuova» sono oggi l’aspirazione di tutti gli uomini e donne che sono impegnati in un superamento dell’attuale sistema sociale, così carico di ingiustizie e sfruttamenti. Ma l’uomo da solo non riesce, e con facilità cade nella tentazione di provarci con la forza e la violenza. Ma il centro propulsore della storia non sono la lotta e la violenza. Per questo, prima di patire e morire, il Signore Gesù ha lasciato ai suoi il «comandamento nuovo», che si ricapitola tutto nell’amore vicendevole, manifestazione dell’amore divino che circola tra il Padre e il Figlio.

Egrave; l’obbedienza a questo «comandamento nuovo» che rende i cristiani capaci di dar vita ad una situazione e una realtà nuova, una «città» nuova: la Chiesa, nuova terra, nuova Gerusalemme, dimora di Dio con gli uomini (seconda lettura). La visione di Giovanni non si riferisce ad una realtà proiettata nel futuro idealizzato. La «città che scende dal cielo», la «terra nuova», dalla quale è scomparso il mare, simbolo delle forze del male, indicano che la nuova creazione, inaugurata dalla vittoria pasquale di Cristo, è già presente nella Chiesa, la «sposa adorna per lo sposo», purificata e santificata da Cristo e splendente della sua gloria e della sua bellezza. La Gerusalemme del cielo si estende fino a quella della terra e si costruiscono e crescono insieme fino alla fine dei tempi.

Tale costruzione avviene lentamente e misteriosamente, non senza prove, tra «lutti, lacrime e affanni», finchè la Chiesa è pellegrina sulla terra. Il nostro impegno tende proprio a rendere la nuova Gerusalemme quale è chiamata ad essere; la prima lettura ci offre un modello e dei criteri ai quali la nostra opera deve ispirarsi: perseverare nella fede attraverso le prove e le tribolazioni per entrare nel Regno; vivere come comunità animata dall’amore fraterno e affidata alla guida e alla cura degli «anziani»; accogliere senza diffidenza coloro ai quali Dio ha aperto le porte della fede.

Così, dopo la resurrezione di Gesù, tutto è già trasformato; ma la comunione tra Dio e l’ umanità redenta, fra Cristo e la sua Chiesa, deve continuamente crescere fino alla intimità più completa e profonda, quando la Gerusalemme nuova sarà in pienezza la dimora di Dio fra gli uomini e si identificherà totalmente con il corpo di Cristo.