La parabola del samaritano ci insegna ad amare l’uomo per se stesso

Letture del 15 luglio, 15ª domenica del Tempo Ordinario: «Questa parola è molto vicina a te, perché tu la metta in pratica» (Dt 30,10-14); «I tuoi giudizi, Signore, danno gioia» (Salmo 18); «Per mezzo di lui e in vista di lui tutte le cose sono state create» (Col 1,15-20); «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10,25-37)

DI BRUNO FREDIANI

L’abitudine ci porta a fare al testo del vangelo delle aggiunte che rischiano di modificarne il significato. È così che nel modo comune di parlare il racconto del vangelo di oggi si definisce come «parabola del buon samaritano», come se questo fosse un’eccezione tra gli altri, tutti cattivi. Ma Gesù parla solo di un samaritano qualsiasi. In questo modo rischiamo di rendere il vangelo più vicino alla nostra mentalità, spesso ricca di pregiudizi e chiusure e ne ammortizziamo l’urto e la novità.

Il dottore della legge gli domanda chi è il suo prossimo, e Gesù gli dimostra che lui poteva essere il prossimo degli altri. Si aspettava che Gesù elencasse le diverse categorie di prossimi verso cui la legge comandava di esercitare la carità, come facevano gli scribi: il familiare, il vicino, l’amico, il compatriota, lo straniero residente, il pagano convertito… Gesù supera in un colpo solo tutte queste distinzioni e afferma l’originalità della sua dottrina e l’universalità della sua estensione: tutti gli uomini sono nostro prossimo. Il bisogno che hanno del nostro aiuto è un titolo più imperioso su di noi di qualsiasi prossimità parentale, razziale, nazionale o religiosa. Bisogna amare l’uomo per se stesso, anche quando è straniero, diverso, nemico.

Gesù sceglie come personaggi da una parte figure che il suo interlocutore ha come sacre: il sacerdote e il levita; dall’altra una figura che considera vile e odiosa: un samaritano.

Mette in scena due consacrati, due persone votate al servizio di Dio e che sembrano dunque adempiere meglio il primo comandamento della legge: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte la tua forza e con tutta la tua mente». E preferisce loro palesemente un samaritano, cioè un eretico, uno scismatico, un uomo che per i giudei era ancora peggiore di un pagano, perché aveva abbandonato la vera religione di Israele.

Lo zelo per il primo comandamento, sembra dire Gesù, non garantisce la buona esecuzione del secondo; la nostra religiosità può accompagnarsi con la più totale indisponibilità verso gli altri, il nostro presunto rapporto con Dio non ci introduce alla “vita eterna” se non ci preoccupiamo di accogliere e di amare i nemici e i diversi.

Ma Gesù vuole anche farci osservare come spesso si trova più cuore, più capacità di accoglienza e di servizio presso i non credenti, i diversi e i lontani che presso i cristiani.

Nella parabola Gesù descrive nei minimi particolari i gesti del samaritano, proprio per metterne in evidenza la carità, a differenza del sacerdote e del levita.La persuasione di possedere la verità spesso indurisce i cuori, l’adempimento delle pratiche di pietà rischia di far dimenticare gli altri, le pratiche religiose possono soffocare la vita tanto quanto i vizi e i piaceri.

Il nostro amore, vero, attivo e cordiale verso tutti gli uomini è il miglior culto e la migliore lode resa a Dio, è la migliore prova che Lo amiamo sinceramente.