In attesa del ritorno di Gesù

19ª domenica del Tempo Ordinario (C). «Come punisti gli avversari, così ci rendesti gloriosi, chiamandoci a te» (Sap 18,6-9); «Beato il popolo che appartiene al Signore» (Sal 32); «Aspettava la città il cui  costruttore è Dio» (Eb 11,1-2.8-19); «Anche voi tenetevi pronti» (Lc 12,32-48)

DI BENITO MARCONCINI

Il vangelo di oggi, il doppio rispetto alle altre domeniche d’agosto, presenta diversi argomenti. Al centro (vv.35-40) invita ad attendere la venuta del Figlio dell’uomo, autodefinizione preferita da Gesù, nella vigilanza operosa: essere pronti (v.35.40), aspettare il padrone (v.36), farsi trovare svegli (v.37s). Emerge la convinzione che il tempo scorre verso un traguardo, un punto terminale, capace di svelarne il senso, verso il ritorno glorioso di Cristo tra gli uomini. Egli ha promesso di essere presente: «sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20), attraverso l’annuncio della parola da parte dei suoi fedeli, mediante la loro testimonianza e il sostegno dello Spirito. Il compimento della storia, poi, svelerà il suo piano di salvezza e il giudizio affidatogli dal Padre sugli uomini: restano nascosti il  momento della venuta e la modalità degli ultimi eventi. Tra la vita di Gesù e i fatti finali si colloca la missione della chiesa. Negli anni ottanta, la comunità cristiana di Luca aveva perso il primitivo entusiasmo, si era raffreddata nella fede, aveva bisogno di conversione: presa dai problemi della terra, aveva dimenticato il cielo. Nella venuta di Cristo sicura, anche se non vicina, l’evangelista fonda allora il forte richiamo a un esame di coscienza, a verificare la qualità del rapporto con Dio, a non perdere di vista il premio o la condanna: per la singola persona poi il giudizio del Signore potrebbe succedere in ogni momento. Due parabole spingono a prendere sul serio l’impegno cristiano. Gesù, per spingere alla vigilanza, si paragona a un padrone invitato a nozze che vuol trovare pronti al suo  ritorno i servi, i quali, se trovati fedeli, saranno perfino serviti a mensa da lui stesso. Osa perfino fingersi ladro che certamente non av verte quando ruberà. Senza dimenticare il mondo e la terra, il credente è esortato a riflettere di più alla dimensione ultraterrena della sua vita, che comporta il primato dell’unione con Dio, ricercandone la volontà che è nostra pace.

La parte centrale è circondata da quattro piccoli brani che estendono il richiamo alla vigilanza e all’impegno, arricchita da altri valori. «Gettate via il timore, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il regno» (12,32). Già incoraggiati a non temere (12,4.7) e in seguito nuovamente rassicurati («preparo per voi un regno» 22,29), qui il motivo della sicurezza è l’associazione dei fedeli alla regalità messianica di Gesù con la fruizione della salvezza, sperimentabile ora (cfr 10,20; 11,20; 16,16) e nel mondo futuro (cfr 14,15). Gesù esorta i suoi a una vita di povertà («vendete ciò che avete» 12,33), preoccupati solo di non perdere il tesoro inesauribile nei cieli e inafferrabile dai ladri. Il terzo ampio pronunciamento di Gesù (vv. 41-46) è diretto ai responsabili della comunità. «La parabola la dici per noi, o anche per tutti?» domanda Pietro. Gli amministratori, i capi devono brillare per fedeltà e saggezza e saranno ricompensati con estensione dell’autorità («il Signore li porrà a capo della sua servitù» v.42). La grande ricompensa, se fedeli, è in parallelo con il grande giudizio, se i capi non vivranno in trepidante attesa del Signore. L’ultimo versetto estende a tutti gli uomini la risposta a Pietro. I doni di Dio («il molto dato, il molto affidato», considerato un passivo teologico, ha come soggetto Dio) vissuti in umiltà devono essere trafficati come le mine/talenti (cfr Lc 19,11-27) nel tempo dell’attesa, nella coscienza di averli avuti in dono. A vivere radicati nella fede spingono le due letture, gli splendidi esempi dei patriarchi ricordati in Eb 11 e l’esperienza di liberazione dalla schiavitù egiziana commentata dal libro della Sapienza.