Si salva chi si impegna

21ª domenica del Tempo Ordinario (C). «Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli» (Is 66,18-21); «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra» (Sal 116); «Il Signore corregge chi ama» (Eb 12,5-7.11-13); «Verranno da oriente e da settentrione e siederanno a mensa nel regno di Dio» (Lc 13,22-30)

DI BENITO MARCONCINI

Gesù continua a insegnare camminando verso Gerusalemme, la città della sofferenza e della gloria. L’oggetto dell’insegnamento è provocato da una domanda che un tale riprende dall’ambiente giudaico, aggiungendo una dose di curiosità: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». La salvezza è per l’evangelista Luca quella integrale, di tutto l’uomo nella sua corporeità e spiritualità qui connotata nella dimensione escatologica di piena comunione con Dio. Alla fine del brano  è spiegata dall’immagine frequente nel testo sacro di un banchetto che vi aggiunge la dimensione comunitaria e gioiosa, per identificarsi poi con il regno di Dio (v.29), inteso dal lettore cristiano quale comunione con il Padre, Figlio e Spirito. La risposta di Gesù sorvola sul problema ozioso del numero dei salvati per esortare tutti a un impegno urgente per raggiungerla. Il verbo usato da Luca (agonizo) più che uno sforzo comanda una lotta decisiva e ultima, simile a quella che Gesù stesso affronterà al termine del viaggio nella città santa: «in preda all’angoscia (agonia, dice l’originale)» (22,44). La lotta è illustrata con l’immagine di una gara tra concorrenti desiderosi di oltrepassare la porta stretta  prima che il padrone di casa la chiuda: la porta stretta diventa così porta chiusa. L’immagine evoca prove e sacrifici, oltre il grido finale, ormai inutile rivolto al Kyrios che è Gesù: «aprici». Il dialogo tra questi e i rimasti fuori raggiunge il vertice drammatico nella duplice risposta del Signore «non vi conosco, non so di dove siete». Il motivo di tanta durezza, inconsueto nel terzo evangelista, è ritrovato nella condotta piena di malvagità, ingiustizia, iniquità: adikia. Espressiva di un comportamento riprovevole, l’iniquità assume anche il senso del rifiuto di Gesù come profeta. Non è sufficiente aver intrattenuto con Gesù terreno una certa familiarità, persino aver mangiato con lui o averne ascoltato l’insegnamento, magari applaudendo. Il rifugio nel privato, il lassismo quasi generalizzato negli anni ottanta, la scarsa riflessione sulla verità cristiana spingono il mite Luca a ricorrere alle minacce, al castigo («pianto e stridore di denti»): la seconda lettura esorta alla perseveranza e a vedere nelle prove un segno di elezione nell’attesa della pace e della giustizia (Eb 12,11).

La prospettiva finale è gioiosa. L’offerta del regno, fatta all’inizio al popolo eletto che in gran parte l’ha rifiutato, ha facilitato l’ingresso dei pagani, ammessi con i patriarchi e i profeti alla mensa del regno. Si realizzano le profezie post-esiliche, tra le quali i versetti finali del libro di Isaia: «verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue… anche tra essi mi prenderò  sacerdoti e leviti» (Is 66,18.21). L’ultimo versetto dà una risposta sfumata alla domanda iniziale: alcuni tra gli ultimi (cioè i pagani) saranno primi, mentre alcuni tra i primi (cioè gli ebrei) saranno ultimi. Matteo in un altro contesto ha una posizione più dura verso gli ebrei attraverso la generalizzazione: «gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (20,16). Luca pertanto, senza dare il numero dei salvati, affida alla responsabilità individuale la risposta alla domanda di inizio come se dicesse: «ognuno si preoccupi seriamente di non restare escluso dal banchetto».