Se il denaro da strumento di servizio diventa padrone
Letture del 23 settembre, 25ª domenica del Tempo ordinario: «Contro coloro che comprano con denaro i poveri» (Am 8,4-7); «Lo sguardo del Signore è sopra il povero» (Salmo 112); «Si facciano preghiere per tutti gli uomini a Dio che vuole tutti salvi» (1 Tm 2,1-8); «Non potete servire a Dio e a Mammona» (Lc 16,1-13)
DI BRUNO FREDIANI
Gesù sceglie gli esempi per le sue parabole dalla vita quotidiana. Qualche volta i suoi personaggi sono poco edificanti ed è evidente che non è sua intenzione proporli che esempi in tutti i loro aspetti. È il caso del giudice iniquo, del ricco insensato, delle vergini stolte, dello scaltro amministratore.
Una parabola non mira a insegnare con tutti i suoi particolari; ha sempre un suo oggetto principale. In questo caso è chiaro: Gesù deplora che i figli della luce siano tanto meno avveduti nei loro affari spirituali di quanto i figli di questo mondo non lo siano nella sistemazione dei loro affari temporali. Non si consiglia di essere disonesti come loro, ma di imitare la loro abilità. A questo scopo racconta il colpo felice di un accorto furfante che ha impiegato risorse non sue per assicurarsi degli amici nei giorno della prossima sventura. E vi oppone la mancanza di intelligenza e di audacia di noi cristiani nell’usare le ricchezze che ci appartengono provvisoriamente, mentre sappiamo che il nostro avvenire eterno dipende da una sola cosa: l’esserci fatti, con la ricchezza, degli amici che ci accoglieranno nel cielo.
Quando si osserva il mondo e si vede come alcune persone imbrogliano, rubano, ingannano, tradiscono e riescono a farla franca uscendo con onore e plauso dalle situazioni più vergognose, si è tentati di imitarli. Spesso, addirittura, queste persone esercitano una maggiore attrazione e attirano ammirazione più di coloro che si guadagno la vita con un lavoro onesto e faticoso.
I figli della luce, invece, sono ingenui, stupidi: pur avendo buone intenzioni, non producono risultati evidenti e significativi. Dobbiamo essere candidi come colombe e astuti come serpenti!
Gesù ci rimprovera che queste ricchezze di cui disponiamo per poco tempo ancora, le conserviamo paurosamente e senza frutto, come il terzo servo della parabol dei talenti.
Sappiamo che porteremo con noi gli amici che ci saremo fatti grazie ad esse. Sappiamo che chi perde i suoi beni li guadagna e chi li vuole conservare li perde. Sappiamo che il nostro denaro testimonierà contro di noi nell’ultimo giorno, mentre gli amici che ci siamo fatti con quel denaro saranno i nostri migliori difensori. E tuttavia, nonostante tutti questi insegnamenti, tratteniamo per noi i nostri beni per paura di perderli.
Gesù chiama il denaro «disonesto» non perché sia in sé stesso cattivo, ma, ai suoi occhi, ogni denaro accumulato è sospetto. I ricchi sono ricchi grazie al denaro che non hanno voluto donare e spesso la loro ricchezza è la causa di tanti poveri.
Il denaro è oggetto di cupidigia, occasione di disonestà, strumento di corruzione. Potrebbe essere un ottimo strumento di servizio, ma spesso diventa padrone di chi se ne dovrebbe servire, e allora questi si chiude a Dio e ai fratelli. Invece colui che dona di buon cuore sa che, se ha avuto la forza di donare, è perché Dio ha già preso in lui il suo posto. La sua libertà nei confronti del denaro è il segno della sua appartenenza a Dio.
Beato colui che serve il solo vero padrone e che giunge in cielo avendo come amici i poveri.