Quando il ringraziamento diventa «azione di grazie»

Letture del 14 ottobre, 28ª domenica del Tempo Ordinario: «Ritornato Naaman dall’uomo di Dio, confessò il Signore» (2 Re 5, 14-17); «La salvezza del Signore è per tutti i popoli» (Salmo 97); «Se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo» (2 Tm 2,8-13); «Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero» (Lc 17,11-19)

di BRUNO FREDIANI

Gesù condanna spesso l’orgoglio dei Giudei che si credono la razza eletta  e i figli prediletti di Dio e vanta la fede di un pagano, preferisce la carità di un samaritano al legalismo di un sacerdote e di un levita, dichiara che i pubblicani e le prostitute ci precederanno nel regno dei cieli e presenta, oggi, come esempio, la condotta di un samaritano in contrasto con quella di nove giudei.

Gesù è stato inviato «alle pecore perdute della casa di Israele», e annuncia l’apertura del regno ai pagani che prenderanno il posto dei primi chiamati.

Egli loda nei pagani la freschezza di cuore, l’assenza di quell’orgoglio proprio dei «proprietari della salvezza», una capacità di stupore, una disponibilità ad accogliere la grazia.

Dieci lebbrosi vengono guarirti, ma a uno solo Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato!».

Gli altri nove hanno avuto sicuramente un momento di fede per essere guariti, ma forse questa fede è stata troppo effimera per salvarli. Nel samaritano la fede suscita la riconoscenza, l’accoglienza della grazia diventa gratitudine.

La vera grazia non solo ci mette in stato di grazia, ma anche in «azione di grazie». Il cristiano non domanda solo delle grazie e ne riceve, ma anche ne rende. L’Eucarestia, la grande preghiera della chiesa, è «azione di grazie».

Tutti i popoli pregano e tutte le religioni chiedono. Il cristianesimo si distingue dalle altre religioni proprio per il grande valore che dà al ringraziamento. Pregare, per un cristiano, è prendere coscienza di aver ricevuto molto di più di quello che avrebbe osato chiedere, è sapere che il Padre sa e vuole molto  più di lui ciò che gli giova, è narrare instancabilmente le grandi opere che Dio ha realizzato nella povertà dei suoi servi.

Il samaritano ringrazia e glorifica Dio a piena voce, si getta faccia a terra ai piedi di Gesù. Questa è preghiera!

I cristiani spesso non hanno l’aria di essere dei salvati, la loro fede non è gioia per un bene ricevuto. Il loro appagamento sembra venire più da se stessi, dal potere e dalle ricchezze materiali che da Dio. Così nei confronti di Dio si esprimono solo lamenti o domande, come se si fosse dei mendicanti. Ma questa non è preghiera!

Il ringraziamento non si esaurisce in una preghiera o in una cerimonia, non può essere solo quel momento silenzioso dopo la Comunione; esso è prima di tutto «azione di grazie».

L’«azione di grazie» si fa, come il samaritano, sulla strada, e non solo con le parole, ma con una gioia comunicativa, non solo col ricordo di ciò che abbiamo ricevuto, ma manifestandolo con la nostra generosità e il nostro dono.

Gli altri sapranno che ci è stato dato molto, perché doniamo con generosità; che siamo stati graziati, perchè noi, a nostra volta, perdoniamo loro; che siamo stati guariti, perchè ci vedranno impegnati a guarire i nostri fratelli; riconosceranno che il nostro Salvatore è vivo, se ci vedranno impegnati, nel suo nome, a salvare i nostri fratelli.