Dio ci offre e ci chiede amore gratuito
8 giugno, 10ª domenica del Tempo ordinario: «Voglio l’amore e non il sacrificio» (Os 6,3-6); «Accogli, o Dio, il dono del nostro amore» (Salmo 49); «Si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio» (Rm 4,18-25); «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,9-13)
DI MARCO PRATESI
La formidabile pagina di Osea presentata nella prima lettura – non per niente Gesù la citerà due volte (cf. Mt 9,13; 12,7) – merita una riflessione.
Il popolo si propone di cercare il Signore; ed è convinto che il Signore si farà trovare. Per esprimere questa fiducia ricorre a due metafore naturali: il sole, che ogni mattina sorge, e la pioggia, che ogni primavera disseta la terra. Allo stesso modo il Signore si mostrerà buono.
pQuesto atteggiamento sembra a prima vista ineccepibile, anzi lodevole. Potrebbe in effetti esserlo, se non avessimo di fronte la reazione così dura di Dio, il quale inizialmente sembra addirittura smarrito, incerto sul da farsi, domandandosi quasi in un sospiro: «che cosa dovrei fare, Efraim?» (v. 4). La risposta riprende la metafora dal mondo naturale, ma in tutt’altro senso: il tuo amore è come la nube del mattino, che si dissolve alla svelta. Fin qui, potrebbe essere un rimprovero contro l’incostanza, la superficialità, l’inconsistenza di un buon proposito. Ma c’è ben di più: il giudizio severo che Dio porta attraverso la sua Parola, affidata i profeti (v. 5) esprime molto nettamente la diagnosi che lo Spirito emette sul proposito e l’atteggiamento del popolo. Si riprende ancora in senso sfavorevole la metafora naturalistica: la luce sorgerà, sì, ma sarà la luce del giudizio tagliente di Dio. Ed ecco la diagnosi: voi mi offrite sacrifici e olocausti, non amore e conoscenza di me (v. 6).
Il popolo commette due errori. Primo, ritiene di poter padroneggiare l’agire di Dio, di poterlo prevedere. Non è per niente casuale il ricorso al mondo naturale: i ritmi della natura sono per definizione certi («il suo levarsi è certo», v. 3), e ispirano largamente le religioni naturali e le varie sapienze umane. È significativa anche l’espressione «affrettiamoci a conoscere il Signore» (v. 3), che in ebraico richiama l’inseguimento, la caccia: Dio appare quasi come una preda, perseguìta dall’uomo, che è il vero attore.
Il secondo errore è pensare che Dio desideri da noi cose – qui prestazioni cultuali -, e che egli si ritenga soddisfatto quando ottiene dei servizi da parte nostra.
A fronte di tutto questo Dio reagisce decisamente male. Dio non è il sole, il suo movimento non è prevedibile; non è la pioggia, il suo arrivo non è pronosticabile; non può mai entrare nelle nostre visuali e nei nostri progetti come semplice elemento di un insieme che siamo noi a costruire e padroneggiare. Dio è sempre soggetto, mai oggetto; sempre libero, mai scontato. Vivente, non si lascia ridurre a un idolo inerte. Sì, perché gli idoli strumentalizzano e si lasciano strumentalizzare, chiedono ossequi in cambio di favori.
Quanto Dio ricerca da noi è invece amore e conoscenza di lui. Si possono considerare insieme questi due termini, fonderli in uno. Avremo qualcosa di simile a: comunione con lui, intesa, sintonia. «Amore voglio, non sacrifici; non offerte, ma comunione con me», dice un’antifona della liturgia delle ore. Dio cerca amore gratuito, e niente di meno.