Il primo peccato è l’orgoglio

5 ottobre, 27ª domenica del Tempo Ordinario.Il primo peccato dell’umanità, radice di tutti gli altri è l’orgoglio umano che ha rifiutato e continua a rifiutare l’obbedienza a Dio. I vignaioli da operai si autoproclamano padroni della vigna, e pertanto si mettono contro Dio, contro i profeti, e contro i pagani che pur essendo arrivati per ultimi ricevono ugualmente l’invito di Dio. DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto Vangelo: «Siamo adulti e possiamo fare a meno dei mediatori» (Mt 21,33-43)Secondo il racconto della parabola evangelica, non c’è dubbio che i cattivi vignaioli rappresentano l’atteggiamento di Israele verso Gesù. I servi mandati a prendere i frutti sono i profeti i quali furono abitualmente contrastati, come poi avverrà per il Figlio condannato e crocifisso. Ma la parabola non si troverebbe nel Nuovo Testamento se non contenesse anche un richiamo che la Chiesa deve tenere sempre presente col passare dei secoli. Il testo stesso lo dice nella sua conclusione, che il regno sarà tolto ad Israele e passato ad altri. E allora sorge la domanda per noi: noi il popolo dei battezzati, la Chiesa di Gesù, corriamo il rischio che il Signore passi ad altri il deposito della fede, e la continuazione della sua missione? Per la verità c’è una assicurazione, quella fatta a Pietro, al quale Gesù affida per sempre il suo gregge. Ma la Chiesa, nel bene e nel male non è composta soltanto da Pietro. Basti pensare al ritardo col quale tante volte sono stati riconosciuti i Santi, o del giudizio prettamente umano che di essi si è dato. Ad esempio qualcuno ha preteso di etichettare S. Agostino come il primo dei cacciatori degli eretici e niente di più; S. Ignazio come una abile stratega; S. Francesco un entusiasta della umanità di Cristo…C’è ben altro in questi Santi oltre la pennellata storica più o meno precisa con la quale si è voluto definirli.

La secolarizzazione di oggi per cui la creazione non è l’opera di un disegno intelligente di Dio, rappresenta un allontanamento pauroso. La cultura laicista europea ostinatamente rifiuta le proprie radici cristiane. È come uno che per il gusto di sentirsi libero da ogni autorità uccide il babbo e la mamma. E poi non ha risolto il problema perché la somiglianza coi genitori rimane evidente nei figli.

I Lettura: Bacche immangiabili al posto di un grappolo di uva (Is 5,1-7)La prima lettura riporta un canto di amore e di alta poesia, quello della Vigna, che il profeta Isaia scrive per denunciare l’infedeltà di Israele. Ho lavorato a lungo, dice il proprietario della vigna, e con tanto amore per realizzare una cosa e invece me l’avete cambiata in un’altra. Che delusione! Il termine delusione non è facilmente comprensibile nella eternità e onniveggenza di Dio. Eppure la insufficienza, o addirittura la violenza, prima della sinagoga rispetto ai profeti, poi della Chiesa rispetto al Vangelo è un fatto che si è ripetuto tante volte nella lunghissima storia della salvezza.

È splendido l’apologo della prima lettura che descrive l’amore fedele del Padre. Aspettavo che facesse uva dolce e invece ha fatto uva selvatica. Il problema è sempre il solito. Chi da operaio si fa padrone pensa di poter dire: delle mie cose faccio quello che voglio: e così la preghiera diventa igiene dell’anima, i dogmi di fede diventano archetipi spirituali. Gli artifizi di tanti pensatori del nostro tempo non sono una reale ricerca di Dio ma il tentativo di costruire un uomo del tutto estraneo a Dio.

II Lettura: «Ciò che avete imparato in me, quello dovete fare» (Fil 4,6-9)L’Apostolo sapendo bene che l’opera di Gesù non può andare dimenticata esorta i credenti a fare oggetto dei loro pensieri, la sua vita e la sua testimonianza per dare una totale impronta di novità alla loro vita. Essa è protesa verso il futuro, e per il passato vive nella gratitudine e nella pace. Cristo non è il visitatore scomodo da eliminare, ma il mandato del Padre che con l’esempio, la parola e l’Eucarestia alimenta la comunità che porta il suo nome, finchè diventi quel frutto che ha sperato dalla sua vigna. L’Anno che stiamo vivendo, dedicato alla celebrazione del secondo millennio della nascita di S. Paolo, va visto come una grazia straordinaria per ritrovare la bellezza e l’entusiasmo di questo rapporto tra la nostra vita quotidiana ed il compiersi del disegno di Dio.