Il grido di Cristo
La seconda lettura, tratta dal Nuovo Testamento, descrive la perfetta obbedienza del Figlio di Dio fino alla morte in croce. Siccome l’obbedienza di Gesù vuol essere anche un esempio di obbedienza per noi ed un esempio di sopportazione del dolore, al fine di motivare e di rendere accettabili questi difficili percorsi, viene raffigurata la conseguente elevazione pasquale, senza di cui il dolore di Gesù, e ogni dolore del mondo, sarebbe incomprensibile. Per il credente che ascolta il racconto della passione, questo avvenimento deve apparire come opera dell’amore divino, che sfocerà nella Pasqua. Il realismo della via crucis però non può essere mitigato mediante questo sapere anteriore «tanto finirà tutto bene», ma lo si deve considerare quanto più seriamente possibile. Questo è desiderio di Dio e, nel suo nome, della Chiesa.
Lo spreco. Non inutilmente al principio sta il racconto dell’amorevole spreco dell’olio di nardo a Betania. Gesù respinge ogni critica: la donna ha fatto la cosa giusta, Lo ha unto (Messia significa 1’Unto) per la sua morte: un’azione definitiva della Chiesa amante, che ha validità fino alla fine del mondo. Lo spreco è il primo atteggiamento cristiano, solo dopo viene la carità calcolatrice per i poveri. Dopo che la sua morte è diventata certezza con il tradimento di Giuda, Gesù si spreca in modo ancora più illimitato nella sua Eucaristia. Tutti bevono in anticipo il sangue versato, e questo avverrà così fino alla fine del mondo: tutta la passione sta nel segno di questo perfetto autospreco dell’amore di Dio per il mondo.
Il tradimento generale. L’atteggiamento degli uomini nella passione viene riferito con un realismo che confina con la crudeltà. E come una raccolta di tutti i pensabili peccati che essi commettono in Gesù contro Dio stesso. Prima il sonno dei discepoli che erano stati scelti per pregare e vegliare con Lui: un addormentarsi che purtroppo continua nella storia della Chiesa.
L’ultimo grido. L’ultima parola di Gesù dalla croce è un grido di sofferenza inaudita «Perché mi hai abbandonato?» A questo «perché» non si dà ora nessuna risposta. Niente ora può essere alleggerito. Perciò la vita del Salvatore del mondo finisce con un «grande grido», in cui egli in senso non solo umano, ma divino-umano, dà espressione all’ingiustizia fatta a Dio dalla storia del mondo, all’inconcepibile ignominia. E proprio questo grido con cui egli muore porta il centurione per primo alla fede.