Il vino buono

17 gennaio, 2ª domenica del Tempo ordinario: Is 62,1-5; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12.di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Colui che all’Epifania si è manifestato alle genti e nel Battesimo del Giordano a Israele ora, alle Nozze di Cana, si manifesta ai suoi discepoli: «Questo,a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». Segno compiuto «tre giorni dopo» i quattro che li precedono (Gv 1,28.29.35.43), vale a dire il «settimo giorno» che conclude la settimana iniziale di Gesù culminata nella sua manifestazione a Cana, rievocazione della settimana iniziale della creazione culminata nel settimo giorno.

2. Siamo a una festa di nozze a cui viene a mancare il vino. Questo il fatto che spinge la madre di Gesù a dire a Gesù: «Non hanno più vino», e Gesù a sua madre: «Donna, che vuoi da me?», e sua madre ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela», e Gesù trasforma l’acqua in vino buono. Questo era ciò che voleva sua madre in sintonia con Gesù nel sapere che alla tavola dell’uomo può venire a mancare il vino dell’allegrezza, nel sapere che solo la parola di Gesù può trasformare la tristezza in esultanza e nel sapere che là ove c’è bisogno lì è sempre ora di intervento. È vero, «non è ancora giunta la mia ora», il momento cioè della croce come piena manifestazione della ragione per cui Gesù è venuto, ma ove incombe il pericolo tale ragione è sempre comunque spendibile come segno anticipatore di quell’amore che là avrà la sua definitiva epifania e esegesi: «e fu l’inizio dei segni», frase che rievoca il «fu» della prima creazione e sottintende che è in atto una nuova creazione, frase indicativa di come il tutto vada letto alla luce della categoria del «segno».

Tutto è in funzione della manifestazione delle «gloria» di Gesù, vale a dire della sua spessa e splendida verità di Sposo messianico della Chiesa, di Venuto alla tavola della vita carente del vino della gioia a portarlo quale suo dono nuziale e tale vino, detto in estrema sintesi, è la rivelazione del Padre come passione d’amore incondizionata per l’uomo, rivelazione che ove accolta dà inizio a un modo di essere radicalmente nuovo, il regime di una filialità, fraternità e speranza di futuro oltre ogni immaginazione, così come lo è la contentezza che ne scaturisce. Da questo vino non in vendita, assolutamente gratuito, dipende la gioia dell’uomo e nel Cristo, nella sua parola – nei suoi gesti – nella sua croce, il Padre diventa commensale della tristezza dell’uomo dovuta all’ignoranza del suo vero «se» dischiudendolo alla conoscenza di sé come figlio amato senza misura e senza merito, non più «città abbandonata» e «terra devastata» «ma sarai chiamata mia gioia e la tua terra sposata» (Is 62,4). Vino che arreca gioia è nell’essere amati così da un Dio così in uno Sposo così. Gioia che niente e nessuno può rapire.

3. «I suoi discepoli credettero in lui» contemplandone la gloria di Sposo venuto a offrire un calice di vino costantemente buono, non artefatto, la bontà di un Dio felice di rendere felici i devastati, gli abbandonati, i falliti, in breve i senza vino nella vita, nel matrimonio e no. E questo in Cristo nel quale l’acqua , la cosa buona del Dio delle Scritture di Israele, diventa vino, la cosa buona del Dio di Israele compiutamente svelato in lui.