Abitare la precarietà
1. Il camminare con Gesù si arricchisce di un nuovo capitolo, dal deserto della tentazione e dal monte della trasfigurazione alla strada che conduce a Gerusalemme ( Lc 9,51-19,27). Un percorso ricco di avvenimenti e di insegnamenti, tra cui l’apprendere a interpretare i segni dei tempi (Lc 12,54-57) non esclusi fatti di «cronaca nera». Quelli, ad esempio, riferiti dal Vangelo di oggi a proposito di quei galilei, forse zeloti, fatti uccidere da Pilato dalle truppe di occupazione romana mentre presentavano la loro offerta al tempio, o di «quei diciotto su cui rovinò la torre di Siloe». È un dato incontrovertibile che l’esistenza umana è soggetta a violenze da parte dell’uomo, del caso e di sconvolgimenti naturali, dato variamente interpretato. Il Vangelo si limita a registrare una delle tante possibili opinioni, quella che ne addebita la responsabilità alle stesse vittime: la loro malasorte è il prezzo dovuto al loro male agire, è la giusta punizione divina.
2. Gesù non accondiscende a questo tipo di lettura dei suoi interlocutori. Il principio della realtà, queste cose accadranno fino alla sua seconda venuta (Lc 21), deve essere liberato dal giudizio nel senso che colpiti e non colpiti sono tutti ugualmente «peccatori» e «colpevoli» davanti a un Dio che non si compiace di distruggere nessuno ma che, pienamente in Gesù, si rivelerà come amore incontenibile proprio per i non innocenti. Fino a morirne (Osea 11,9; Ez 18,23; 33-11; Gio 4,11; Lc 23,34; Rm 5, 6-8). E deve essere, sempre il principio della realtà, abitato dal principio della conversione: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo», non avrete cioè altra sorte che quella di essere inghiottiti dalla morte. Conversione a che cosa? Al «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36), alle «opere degne della conversione» (Lc 3,8) di cui aveva già parlato il Battista, e al discorso delle beatitudini dello stesso Gesù (Lc 6,12-49). Un passaggio a cui ciascuno è chiamato, il divenire da albero infruttuoso albero che porta il frutto della misericordia lasciandosi scavare e concimare dalla parola di Cristo, vignaiolo intercessore presso la pazienza amante di un Padre, mai finita, e che tuttavia esige di non essere superficialmente disattesa.
3. Un discorso che ha a che fare con la «cronaca nera». A Gesù preme il come iniziare a vivere il tempo della precarietà da cui nessuno è esente, non da giudici e neppure da rassegnati ma con mente nuova. Abitarlo con cuore di carne, e questo è dare senso inedito al qui e ora, e attraversarlo con un cuore di speranza: «È bene aspettare in silenzio la salvezza di Dio» (Lam 3,26). Anche se recisi (Mt 10, 28-31; Lc 21,28) non lo si è per sempre: dentro il «figlio del comandamento» riposa il «figlio della resurrezione». Per gli amati che riamano arma, caso e terremoto non sono l’ultima parola. Da temere c’è solo il negarsi alla concimazione irridendo la pazienza di Dio, e continuando a ferire e a devastare l’uomo, da non temere è la precarietà se vissuta da convertiti all’attenzione all’altro e alla visione dei cieli aperti.