La domenica delle Palme e della Passione
1. La domenica delle palme è porta di ingresso alla settimana della passione: Gesù il seduto su un puledro, la cavalcatura del Messia mite e umile, acclamato dalla folla gioiosa dei discepoli il «Benedetto che viene, il re, nel nome del Signore» (Lc 19,37-38), è il «re crocifisso» (Lc 23,33.38). Sono gli estremi di una vicenda interpretata in molti modi che l’evangelista Luca si premura di registrare concentrando l’attenzione sul crocifisso, un dato di fatto che egli definisce «spettacolo» (Lc 23,48) accompagnato da molteplici reazioni: «I capi lo deridevano… anche i soldati lo deridevano… e uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava» (Lc 23,35-39). La ragione di questo comportamento è la medesima per i capi, i soldati e uno dei malfattori: «Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se lui è il Cristo di Dio, l’eletto» (Lc 23,35.37.39). È il ritorno alla grande tentazione (Lc 4,13).
A questo «bestemmiatore» (Lc 22,71) e a questo «sobillatore del popolo» (Lc 23,1-2) è offerta un’ultima via d’uscita, rendersi credibile quale Inviato di Dio scendendo dalla croce, diversamente verrà confermato su di lui il giudizio che quella condanna a morte significa. Croce come segno di maledizione a causa della bestemmia: «Maledetto chi è appeso al legno» (Gal 3,13 = Dt 21,23), croce come segno di esclusione dal diritto di cittadinanza a causa della sovversione. Gesù in croce diventa dunque per alcuni partecipazione a uno spettacolo dal contenuto singolare: quell’uomo e il Dio che dice di rappresentare non possono far parte di determinati orizzonti religiosi e socio-politici, e ciò in nome di una propria lettura di Dio e di proprie motivazioni politiche. Vi è una «ragione religiosa» e una «ragione di Stato», ieri – oggi – domani, che non può che crocifiggere la ragione che ha posto la scure alla radice di ogni istituzione religiosa e socio-politica, ieri – oggi – domani.
2. Ma non è questa la sola visione di quel crocifisso: vi è quella dei conoscenti e delle donne che «osservavano questi avvenimenti» (Lc 23,49) cercandone il significato profondo in attesa che venga loro svelato, e quella delle folle che si percuotevano il petto ripensando a questo spettacolo (Lc 23,48), e ancora quella del malfattore che riconosce in Gesù l’innocente e ne invoca il ricordo (Lc 23,40-42). Un crescendo che culmina nella proclamazione del centurione: «Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «veramente quest’uomo era giusto»” (Lc 23,47). Ove giustizia vuol dire fedeltà a sé stessi e al proprio compito fino a morirne. Quel crocifisso è giusto perché ha adempiuto sino in fondo il mandato ricevuto di rivelare la giustizia di Dio come amore in termini di «condivisione», di »inclusione» e di «redenzione». Chi ama visita gli amati ovunque si trovino, anche in croce facendosi crocifisso con i crocifissi. Chi ama nel suo amore include giusti e ingiusti, benedetti e maledetti, ligi all’ordine costituito e ribelli, ed è bacio a chi ritiene bestemmia un simile volto di Dio e terra ospitale a chi espelle una simile visione di Dio: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Solo l’amore redime, e accoglierlo è aver trovato il proprio paradiso già sulla croce (Lc 23,43).
Questa settimana non abbiamo altro da fare che contemplare quel crocifisso con gli occhi del cuore della folla, delle donne, del malfattore pentito e del centurione per essere invasi da un amore che ci costituisce luoghi attraverso cui guardare con amore fino a morirne, ogni capo, ogni soldato e ogni malfattore che misconoscono l’amore. Come Dio nel suo Inviato. Da questa croce non si scende, verso di essa si cammina: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51), la decisione di rivelare l’altezza dell’Amore.