L’invito di Gesù: gettate la rete
1. Al Vangelo concluso (Gv 20,30-31) viene posto in appendice un nuovo capitolo (Gv 21) che per molti versi rimanda al racconto di Luca 5,1-11. Una pagina a sottolineare che la notte della delusione volge al termine incontrata all’alba da una presenza che riapre un nuovo giorno ai ritornati all’occupazione di prima, la pesca. Nel caso sette discepoli (Gv 21,1-4).
2. Pagina ricca di messaggi. Il primo riguarda il come il Risorto si manifesta, sta in mezzo e si avvicina ai suoi (Gv 21,1.4.13.14). Non attraverso la via della visione fisica: «Non si erano accorti che era Gesù» (Gv 21,4), altra è la condizione del Gesù risorto da quella del Gesù terreno, ma attraverso la via della parola: «Gettate la rete» (GV 21,6), dell’invito: «Venite a mangiare» (GV 21,12) e del gesto: «prese il pane e lo diede loro, e pure il pesce» (Gv 21,13), il cui anagramma greco significa: «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore». Parole e gesti antichi (Lc 5,4; Mt 26,26; Gv 6; Lc 24,35), che rendono veggenti gli occhi del cuore: «È il Signore» (Gv 21,12) e trattenute nello stupore le parole. «Nessuno dei discepoli osava domandargli: Chi sei?, perché sapevano bene che era il Signore» (GV 21,12). Il Gesù, sottratto con la resurrezione agli occhi della carne, continua a farsi vicino in forma straniera resa familiare agli occhi degli amati dalla parola e dal gesto. Pagina di alto profilo per le assemblee domenicali riunite in un pasto in cui il Risorto viene e sta in mezzo come Parola di luce e Pane di vita nascosto in un libro e in un cibo, visibili allo sguardo del cuore che scorge in quella Parola-Pane il Pesce.
Il secondo messaggio riguarda il perché del farsi vicino, a volere riprendere un discorso che la morte ha momentaneamente interrotto. Gesù viene dunque a ritessere una relazione e a affidare un compito di portata universale, quello del pescare nel profondo del male, di cui il mare è metafora, per far emergere a terra (Gv 21,11), sulla superficie della storia, la comunità dell’amore unita nella distinzione. Il numero 153, di difficile decifrazione, secondo una lettura arcana dei numeri indica «Chiesa dell’amore», e per Girolamo l’insieme di tutti i popoli rappresentati dalla totalità delle specie di pesci allora conosciuti, appunto 153.
Dall’insieme di queste indicazioni emerge, ed è questo il terzo messaggio, una visione di Chiesa assolutamente singolare: essa è l’insieme degli incontrati da Gesù il risorto nella parola e nel pane, è l’insieme dei confessanti Gesù risorto come Signore ed è l’insieme degli inviati dalla sua parola non disattesa (Gv 21,5-6; Lc 5,4-5) a dar forma all’umanità degli amati che amano, come suggeriscono il «figliolini-ragazzi» (Gv 21,5; cf. 1Gv 2,13.18; 3,7) e la figura del discepolo amato. Prospettiva tipicamente giovannea del leggere la Chiesa come l’umano reso veggente circa il mistero di Gesù e il suo sogno condiviso, generare una umanità unita nell’amore oltre ogni frattura, la rete non spezzata al pari della tunica indivisa di Gesù (Gv 21,11; 19,23-24) e oltre ogni uniformità, i 153 pesci.
3. È in questo contesto che va interpretato l’incontro Gesù-Pietro, che sottolinea la ripresa di una relazione attraverso la triplice confessione d’amore come risposta al triplice rinnegamento, accompagnata dall’invito al pascolare e al pascere il gregge di Cristo e alla sequela fino alla morte (Gv 21,15-19). Ed è in questo contesto che va collocato il dialogo Gesù-Pietro riguardo al destino della testimonianza giovannea destinato a rimanere accanto al compito petrino fino al ritorno di Gesù (Gv 21,20-23). A voler dire che la Chiesa di Gesù nel tempo per rimanere fedele a se stessa e al compito ricevuto deve essere radicata nella «visione» del discepolo amato e della «cura pastorale di Pietro». L’una senza la seconda può diventare un’anima senza corpo e senza continuità, l’altra senza la prima può diventare un corpo senza anima, la prigione della Parola. Lo sguardo di Giovanni, profezia, necessità della rocciosità di Pietro, istituzione, e viceversa a bene della Chiesa.