Il comandamento dell’amore

2 maggio, 5ª Domenica di Pasqua: Letture: At 14,21-27;  Ap 21,1-5;  Gv 13,31-33.34-35di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Leggiamo: «Quando [Giuda] fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui”» (Gv 13,31). La lavanda dei piedi e l’annuncio del tradimento di Giuda costituiscono lo sfondo di questi versetti il cui vocabolario merita attenzione.

2. L’«ora» di cui qui si parla è quella della croce – resurrezione – effusione dello Spirito in cui Gesù manifesterà in maniera compiuta (Gv 19,30) la «gloria» (Kabod) del Padre, vale a dire la sua pesante verità di amore assolutamente unico. E in cui simultaneamente il Padre manifesterà in maniera compiuta la «gloria» del Figlio, vale a dire il suo essere epifania storica assolutamente unica della verità di Dio come amore. Non a caso tale «ora» della «gloria» ha la sua spiegazione nel versetto che fa da introduzione all’intero Vangelo dell’«ora»: «Gesù sapendo che la sua ora di passare da questo mondo al Padre era venuta, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1), fino all’ultimo respiro e al dono della propria vita.

E altresì ha il suo incipit gestuale nella lavanda dei piedi e la sua conferma nel fatto che al traditore Giuda (Gv 13,21) non sono stati negati né convivialità né dono del pane (Gv 13,26). L’uscita di Giuda per consegnare Gesù, che apre il tempo della piena rivelazione del volto di Dio nel suo Inviato, non significa uscita dall’amore di Gesù e di Dio in Gesù. Nel loro essere amicizia al traditore essi sono glorificati, cioè manifestati come non scomunica di nessuno. Un modo di essere che Gesù a tavola consegna ai suoi in forma testamentaria: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

L’Amore non può che comandare amore. Nuovo perché? In ragione della persona che lo porge, la novità Gesù, e in ragione del suo concreto articolarsi, alla maniera di Gesù, il quale traduce l’amore con il quale il Padre lo ama in termini di precedenza, di inclusione, di totalità e di libertà. Ama per primo e senza condizioni, indipendentemente cioè dal merito e dalla risposta dell’uomo esponendosi allo scacco (1Gv 4,10); una unilateralità che comprende amici (Gv 15,13) e empi (Rm 5,8) di ogni dove, senza esclusioni (Gv 19,20) dunque, e senza misura, fino al dono di sé nella libertà: «Do la mia vita… da me stesso» (Gv 10,17-18). E il tutto in mitezza e umiltà (Mt 11,28), lo stile di Gesù. Una novità che dà forma alla «nuova alleanza» Dio – uomo, nuova perché fondata e normata dall’amore di Dio apparso in Cristo, di cui i discepoli coinvolti devono essere memoria, annuncio e testimonianza.

3. Leggiamo infatti: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Il mistero della Chiesa nella storia è posto, essa è l’insieme degli  amati da Dio in Gesù – inviati – ad amare come Dio in Gesù a partire dai fratelli e dalle sorelle di fede, e per estensione ogni creatura sotto il sole. È l’unico segno lasciato attraverso cui la storia può pervenire al riconoscimento di Gesù e in lui di Dio suo Padre come esagerazione di amore. Amati per amare come amati è il costitutivo della Chiesa da cui tutto, struttura e organizzazione, deve muovere e a cui tutto deve rimandare.