Pentecoste, festa dell’alleanza
1. Pentecoste in origine è il «cinquantesimo giorno» dopo la festa della Pasqua, è l’inizio in Israele della «festa delle settimane» (Shabu’ot) a conclusione delle mietiture; successivamente, con certezza a partire dal II sec. a.C., il cinquantesimo giorno diventa altresì «festa delle alleanze» (Shebu’ot) con particolare riferimento a quella sinaitica cinquanta giorni dopo l’uscita dall’Egitto.
Negli Atti degli Apostoli la celebrazione si arricchisce di un nuovo significato: cinquanta giorni dopo la Pasqua di Gesù, l’uscita dalla tomba, Dio nel Risorto dà avvio per Israele e le nazioni alla «festa dell’alleanza nello Spirito». Pentecoste è dunque il giorno memoriale dei doni con i quali Dio viene incontro ai bisogni reali dell’uomo: il pane alla sua fame, la legge al suo disorientamento e il soffio forte dello Spirito ad un abitare la terra secondo il Gesù dei vangeli e il vangelo di Gesù. Senza pane, senza legge e senza Spirito, il vento che conduce a vertici inesplorati, la vita è nell’indigenza, nello spaesamento e nel non senso, figli di «passioni tristi».
2. Tristezza che avvolge i discepoli di Gesù dinanzi ai suoi discorsi di addio, uno stacco che causa in essi turbamento e senso di abbandono: «Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1), «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,18). Una promessa che diventa nel Gesù di Giovanni articolato discorso sullo Spirito. Gesù lo invoca sui discepoli come altro da sé (Gv 14,16), il Padre lo manderà nel suo nome (Gv 14,26) e il Risorto lo soffierà su di loro (Gv 20,22), e lo Spirito che era presente «presso» di loro tramite Gesù, lui assente dimorerà per sempre «con» loro e «in» loro (Gv 14,16-17). Questa la parabola dello Spirito: dal Padre tramite il Risorto alla compagnia e nel cuore degli amici di Gesù. Perché? La ragione è contenuta nel termine «Paraclito» (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7) che vuol dire «chiamare accanto», ad esempio alla tristezza dei discepoli testimoniando al loro cuore che Gesù è veramente risorto e che ineffabilmente continua a venire e a dimorare presso, con e in loro assieme al Padre. Il chiamato accanto è alla coscienza triste notizia gioiosa che gli sono vicini gli amati e gli invocati «Signore» e «Padre» (Gv 14,14-18; 1Cor 12,3; Rm 8,15). Spirito dunque uguale a testimone (Gv 15,26) che non si è orfani né di Dio né di Cristo, e uguale a maestro interiore, è Spirito di verità (Gv 14,17; 15,26; 16,13), che rende udibile e amabile ai suoi l’insegnamento di Gesù verità (Gv 14,6), lo ricorda, lo annuncia ad essi (Gv 14,26; 16,14) e ne è il difensore (Gv 16,8-11) oltre ogni contestazione. Spirito infine che convince la mente che non vi è prova più autentica di amore verso Cristo che l’osservanza del suo comandamento (Gv 14,15). Spirito di persuasione.
Non sono che esempi ma illuminanti a farci intravedere qualcosa del mistero dello Spirito: esso è dono dall’alto, questa la sua provenienza; esso dimora con e in noi, questa la sua collocazione; e esso viene accanto come testimone, maestro, difensore e persuasore, quindi consolatore, questa la sua funzione. Si capisce allora il perché della invocazione: «Vieni, Spirito Santo». «Senza di lui – scrive Ignazio IV Hazim – Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un dominio, la missione propaganda, il culto una semplice evocazione e la condotta cristiana una morale da schiavi». Pentecoste pertanto come vertice dei doni di Dio: il respiro di Cristo su di noi che domanda di essere accolto da noi in vista di una vita ispirata e ispirante. Quella dei nati da Spirito (Gv 3,3-8), cioè dal vento del Signore che fa volare ad altezza di pensieri, di sentimenti e di comportamenti a misura di quelli di Cristo. Passioni forti e gioiose.