Il cammino di Cristo e del discepolo

27 giugno, XIII domenica del Tempo ordinario. Letture: 1Re 19,16b.19-21; Gal 5, 1.13-18; Lc 9,51-62di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. «Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33), per questo Gesù a faccia dura «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51) ponendo fine al suo ministero in Galilea (Lc 4,14-9,50). Un «camminare verso» più volte ripetuto fatto di attraversamenti di luoghi (Lc 13,22; 17,11), di insegnamenti (Lc 13,22) e di incontri ospitali (Lc 10, 38-42) e no (Lc 9,52-53). Un «camminare verso» necessario (Lc 13,33) perché è a Gerusalemme, alla cui vista Gesù pianse (Lc 19,41), che deve salire (Lc 19,28) per dare compimento al suo giorno, l’essere «elevato in alto» (Lc 9,51), «rapito in alto», l’ascensione in Dio passando per l’altezza della croce. Giovanni parlerà di «innalzamento» (Gv 12,32). A Gerusalemme il cammino umano di Gesù perverrà alla sua adempiuta misura, l’amore fino alla croce facendo verità sulle questioni fondamentali dell’uomo (Lc 19, 45s.), e al suo definitivo destino, l’assunzione alla destra del Padre. Un «camminare verso» infine con i suoi di ogni luogo e tempo: «Gesù camminava davanti a loro salendo verso Gerusalemme» (Lc 19,28). Egli è la guida verso una vita alta che deve pervenire al suo compimento, la resurrezione che emerge da una morte come evento d’amore per l’amico e per il nemico facendo verità.

2. Vita alta di cui il Vangelo ci offre immediatamente un esempio. Il fatto è semplice. Un villaggio di samaritani, a motivo della storica ostilità nei confronti dei Giudei, nega ospitalità e si rifiuta all’incontro con Gesù e i suoi ritenuti nulla di più che una delle tante carovane di pellegrini ebrei in viaggio verso Gerusalemme (Lc 9, 52-53). E immediata è la reazione dei figli del tuono Giacomo e Giovanni: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54), allusione a Elia (2 Re 1,10). Reazione a cui Gesù risponde così: «Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio» (Lc 9, 55-56), un rimprovero che rimanda al no a chi vorrà sradicare la zizzania (Mt 13,30) e far uso della spada per difenderlo (Lc 22,51). Gesù non vuole la distruzione di nessuno e la scure è posta alla radice di ogni fondamentalismo e giustizialismo. Il discepolo deve distinguersi per l’accoglienza del diverso e per la non rappresaglia nei confronti del nemico. Deve andare oltre il villaggio samaritano che si nega all’ospitalità dello scismatico ebreo, e oltre la logica di fuoco di Giacomo e di Giovanni verso lo scismatico samaritano, l’oltre dell’amore che include tutti (Lc 6,27-38), l’oltre della libertà che sa che vi sono altri villaggi e altri cuori che non si negano e che non negano nessuno. I cristiani sono chiamati ad essere questo villaggio e questo cuore, testimoni di un cammino elevato nella compagnia delle diversità e delle negazioni dell’altro. Fino a dare la vita per chi non accoglie e colpisce.

3. Un cammino, rileggendo in chiave psicoanalitica le tre rinunce (Lc 9,57-62), esigente nel suo domandare l’andare oltre «il bisogno di sicurezza esterna», la tana-madre, «la religione del dovere» rappresentata dal padre e i «condizionamenti dell’ambiente» familiare e sociale. (J.Radermakers-Ph. Bossujt). A voler dire che nulla, neanche le cose più ovvie e più care, deve impedire al discepolo di divenire la propria verità di pellegrino che con estrema decisone attraversa la vita amando e facendo verità nell’amore, proteso in avanti verso il Padre (Fil 3,13).