Il retto uso del tempo e dell’autorità
1. Il brano evangelico da un lato conclude il discorso sul retto uso delle «cose» iniziato in Luca 12,13 e dall’altro introduce al retto uso del «tempo» e dell’«autorità». Temi di mai conclusa attualità essendo forte la tentazione della resa al fascino del denaro e del potere e all’interesse di conservare le cose come sono impedendosi e impedendo l’aspettativa di qualcosa di diverso, di nuovi tempi. Gesù scuote il «piccolo gregge» o «resto» a uscire da questa logica e dal sentimento di impotenza che l’accompagna, tanto non c’è nulla da fare, per divenire al contrario i testimoni di una effettiva diversità. Possibile, ad esempio nei confronti del «denaro», là ove il tesoro del cuore e la perla preziosa della mente sono il Vangelo e non l’avere. Si tratta sempre di sapere qual’ è la molla ultima che determina l’agire dell’uomo, se il denaro-idolo il frutto sarà una società ad alto tasso di miseri, di guerre e di abbruttiti dalla libidine delle cose; se il Vangelo nasceranno oasi di pace e di condivisione, venduto a vantaggio del povero il desiderio dell’accumulo. A questo leggere diversamente il denaro aprendo spazi di novità e di speranza sono chiamati i discepoli.
2. Chiamati altresì a una diversa lettura del «tempo» a partire da una elementare domanda: il tempo dato a vivere, giorno dopo giorno, da chi e da che cosa è determinato e orientato, chi e che cosa lo qualifica, da dove trae senso divenendo tempo riscattato, redento, salvato? Se dal Signore, dal Vangelo e dalla sua promessa che è il Regno di Dio, il tempo diverrà simultaneamente tre cose: tempo di attesa di lui: «Vieni, Signore Gesù» (1Cor 16,22; Ap 22,17); tempo di accoglienza di lui: «Si, vengo presto» (Ap 22,20), nel nascondimento di una pagina, di un pane, di una icona, di un povero e del linguaggio del cuore, degli eventi e della natura; e, nel giorno noto a lui, tempo di attesa e di accoglienza di lui faccia a faccia, aspetto su cui insiste particolarmente il brano evangelico odierno. Il venuto nella debolezza della carne e il veniente nella piccolezza dei segni verrà nello splendore del suo volto a portare a compimento l’opera iniziata, l’ingresso dei sei giorni della storia nel settimo giorno del mondo di Dio oltre ogni male e ogni morte. Verrà come un ladro nella notte e il piccolo gregge è chiamato a vigilare, a conservare cioè accesa la lampada della sua attesa, pronto nella gioia ad aprire la porta quando egli bussa (Ap 3,20) e svelto, rimboccate le falde della tunica nella cintura, a intraprendere spediti il grande viaggio con lui.
Questa pagina inesorabilmente riconduce al nocciolo della questione cristiana: il profondo desiderio personale e ecclesiale è attesa non spenta di Gesù e del suo vangelo che riscattano il tempo dato a vivere qui e ora? È attesa pregata e affrettata (At 3,19-20; 2Pt 3,11-13) del volto del Signore in cui il riscatto sarà portato a piena fioritura? È attesa nella gioia: «Beati…»? Se così il piccolo gregge si qualificherà nella storia come umanità dell’attesa-accoglienza dell’incontro con un Tu, «momento di grazia», in grado di trasfigurare, «tempo di grazia», il giorno dato a vivere, l’ora data a morire e il dopo morte. Trasfigurazione come ingresso nell’ambito dell’amore e della vita.
3. Ingresso che le «autorità» nella Chiesa, e altresì nella storia, mai devono dimenticare pervertendo il loro ruolo: da servi miti e umili, da amministratori disinteressati di un vangelo non loro, da modelli e da dispensatori di gioia (1Pt 5,1-4; 2 Cor 1,24) a padroni autoritari e violenti, a traditori del vangelo a nome del proprio interesse, a maschere di cinismo e di disumanità e a causa di scandalo e di tristezza. Una degenerazione sempre possibile là ove il ministero da icona del volto di Cristo, da riflesso di bellezza evangelica e di attesa dell’evento ultimo sempre alle porte e questo a memoria del dover essere dell’intera comunità, diventa «clericalismo» dai molti volti. È urgente vigilare.