Una porta stretta per entrare in una esistenza dilatata
1. Il desiderio che abita il profondo dell’uomo è il divenire sé stesso, in questo sta la sua salvezza o la sua perdizione, e il Cristo, nella esperienza dei suoi discepoli, è la «porta stretta» che lo introduce alla ineffabile conoscenza della sua verità e alle esigenze radicali che essa comporta. Attraversare questa porta e intraprendere questo cammino è viaggiare con Gesù verso Gerusalemme (Lc 13,22) a morirvi «fuori porta» (Eb 13,12), metafora a voler dire che l’uomo raggiunge la sua adempiuta statura quando diviene, a similitudine di Cristo, dono libero, gratuito e totale di sé. Ove ciò accade il giorno si apre al senso e il futuro all’ingresso nel Regno di Dio, la mensa nel banchetto messianico (Lc 13,28-29).
2. È in questa prospettiva che va letta la pagina evangelica che muove da una domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23), domanda oggetto di dibattito nei circoli rabbinici e apocalittici: tutto Israele entrerà nel mondo futuro, dicevano i rabbini, pochi vi entreranno, rispondevano gli apocalittici. Essa inizia con uno «sforzatevi-lottate per entrare per la porta stretta» (Lc 13,24) e si conclude con l’invito a volgere lo sguardo a quanti «da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno siederanno a mensa nel Regno di Dio» (Lc 13,28-29). L’invito è a raccogliere tutte le proprie energie convogliandole in un atto di decisione senza pentimento: liberarci del nostro prima lasciandolo ai piedi della porta che è Cristo e, attraverso di lui, entrare nella via dell’amore per l’uomo e per la terra e il cosmo fino alla consumazione di sé (Gv 19,30), in cui sta il compimento dell’uomo ad altezza di Cristo e di Dio. Questo passare per la porta stretta introduce davvero a giorni di luce nella sovrabbondanza della tenerezza, ma è grazia ad alto prezzo, è lotta contro la seduzione della porta larga della vertigine dell’autoaffermazione, dell’avere, del potere, dell’etnocentrismo e altro ancora. Cristo stesso ha lottato contro chi gli proponeva via larghe, altre da quelle della volontà del Padre, vale a dire dell’agape (Lc 4,1-13; 22,39-46; 23,45-49), e così il cristiano (1Tm 6,12; 2Tm 4,7ss; Fil 3,12; Ef 6,10-17; Eb 12,1-4). La via che la porta-Cristo apre è un dono dunque che domanda la decisione del sì in una perseveranza fino alla morte, è amare sino alla fine (Gv 13,1), è ingresso nella via della bellezza del sentimento di amore e di compassione (Fil 2,1) che apre al senso il giorno dato a vivere e a morire dischiudendo inoltre la porta del Regno. Questa possibilità è data a tutti perché «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2,4), e il futuro di Dio è per tutte le razze e le etnie, ebrei e non ebrei, senza esclusioni. Dio a tutti dona Gesù come porta che dischiude a un diverso modo di viaggiare, a un diverso stile di vita: il sentiero di una vita nell’amore che si conclude nel Regno dell’amore. Porta stretta per una esistenza dilatata e eterna.
3. E qui si apre un nuovo capitolo, un insegnamento che turba e che nel contempo è un invito a uscire dalla menzogna, quella del far valere false credenziali. Non si può essere e vivere da inconvertiti operatori di ingiustizia (Lc 13,27) e di vantare la conoscenza di Gesù a giustificazione di sé stessi, a presunzione di salvezza. Ai suoi contemporanei poteva succedere di mangiare con lui, di bere con lui e di assistere ai suoi discorsi in piazza, e a noi può succedere di assistere a messe, di ascoltare prediche, di frequentare ecclesiastici, di assumere la croce a simbolo di una civiltà contro un’altra e quant’altro ancora e sentirsi dire: «Non vi conosco, non so di dove siete» (Lc 13,25.27). Nell’Evangelo di Giovanni vi è una bella definizione degli amici di Gesù conosciuti da Gesù: «Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando» (Gv 15,14), se in umiltà offrite i vostri tradimenti al mio perdono e la vostra debolezza alla mia forza per intraprendere senza voltarsi indietro il sentiero della custodia dell’uomo e del creato lasciata alla porta che è lui la via larga della non salvezza che presume coniugare permanenza nell’iniquità, culto e uso strumentale del nome del Signore. Gesù fa luce su questo falso, su questa illusione, e invita all’urgenza della conversione. La sua salvezza per tutti offerta a tutti è donata alla libera risposta di tutti, il problema è dell’uomo, sapendo che tutto questo significa intraprendere il grande esodo dall’iniquità alla giustizia. Diversamente inganniamo noi stessi e gli altri, e in definitiva lui solo sa chi sono i veri suoi amici in Israele, nelle Chiese e al di fuori delle Chiese, «ultimi» che senza appartenere al corpo della Chiesa appartengono alla sua anima che è il Vangelo. Non basta dire Abramo – Abramo (Lc 3,8), Signore – Signore (Mt 7,21), Chiesa – Chiesa ed essere al di fuori dell’amore, della propria e desiderata costitutiva verità e amati che amano come amati, la via del Regno (1Cor 13).