Il posto della Chiesa: stare tra gli ultimi, per gli ultimi
1. Ancora di sabato, giorno del riposo nella pace dell’ascolto, della lode e della mensa; ancora a tavola, luogo di grandi rivelazioni; e ancora a casa di uno dei capi dei farisei (Lc 14,1), i «separati separanti» da cui Gesù non si separa, essendo egli l’ospitalità di Dio che nessuno esclude. Uno stare a tavola con altri commensali da «osservato» (Lc 14,1), Gesù il provocatore con il suo stesso esserci è al centro dell’attenzione, e a sua volta «osserva» facendo considerazioni. A partire da due dati: la scelta dei posti (Lc 14,7-11) e la scelta degli invitati (Lc 14,12-14) che diventano per lui occasione di una parabola, di un paragone con il suo modo di pensare e di sentire la realtà, di soppesarla.
2. Che cosa nota Gesù? Innanzitutto il fatto che gli invitati «sceglievano i primi posti» (Lc 14,7), il che lo porta a dire: non siete accorti neppure da un punto di vista puramente mondano, contraddicendo il cerimoniale che vuole che i posti a tavola vengano assegnati con il rischio di venire svergognati: «Cedigli il posto!» (Lc 14,9), retrocedi. E neppure sufficientemente opportunisti e calcolatori, tipico di chi si defila fiutando di ricavarne riconoscimento e profitto: «Amico, vieni più avanti» (Lc 14,10). Gesù sa quanto giochi nella vita dell’uomo l’ansia del primeggiare e dell’apparire, e quanto non sia mai in crisi l’industria dell’autopromozione sia in ambito sociale che religioso, i primi posti nella piazza, nella sinagoga (Lc 20,46) e nella chiesa. Gesù annota, e va preso nota di quanto sia distante dal suo orizzonte questo modo di porsi nella vita. Per Gesù la giusta collocazione è quella data da Dio, posta in evidenza da lui il più grande, quindi il primo, divenuto servo, quindi l’ultimo (Lc22,24-27), il Maestro e Signore divenuto lavanda dei piedi (Gv 13,14) in mitezza e umiltà (Mt 11,28). E tutto questo mosso da un unico sentimento di amore e di compassione (Fil 2,1) e da un’unica preoccupazione, il servire e non il primeggiare. Per questo Dio lo ha esaltato (Fil 2,9-10). E così i discepoli (Lc 9,48; 22,26; Mt 20,27; Gv 13,14 – 15) resi partecipi del suo stesso sentire (Fil 2,5) e della sua stessa ricompensa: «Chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). Ora umiliarsi equivale a essere restituiti alla propria giusta posizione e al proprio giusto compito: il guardare l’uomo dal basso in alto dediti in creativa nonviolenza al suo bisogno e alla sua gioia nella gratuità. Finalmente al proprio posto, quello che non fa paura e non è malato di competizione.
3. Il Gesù che prende atto che l’uomo è corsa ai primi posti, a qualsiasi prezzo e con qualsiasi mezzo – come la cronaca insegna -, annota poi che la scelta degli invitati ai pranzi, di nozze e no, ruota attorno ai sempre soliti noti: amici, fratelli, parenti, ricchi, e attorno alla sempre inesorabile logica del contraccambio. Da questa geografia dettata da ragioni di simpatia, di sangue e di interesse, mai in perdita, un uomo di nome Gesù è uscito facendosi ultimo con e per gli ultimi, ad essi banchetto nel qui e ora ed eterno, e chiama l’uomo a seguirlo in questa strada inedita. A divenire spazio nel cui cuore e nella cui sala da pranzo c’è posto nella più assoluta gratuità, in perdita, per lo «scantinato della storia»: poveri, storpi, zoppi, ciechi, gli amici prediletti di Dio. Una scelta che rende «beati» (Lc 14,14): «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7), con larghezza e senza mira di ricompensa. Beati nel saperci in sintonia e amati dal Dio di Gesù, beati nel sapere che chi aiuta un uomo a risorgere dal suo stato di indigenza è introdotto da Dio nella resurrezione eterna (Lc 14,14; Mt 25,31-46) e beati nel vedere un povero aprirsi al sorriso. Il cammino della Chiesa è tracciato: nella compagnia degli uomini il suo posto è l’ultimo e i suoi amici gli ultimi. Il sentiero della felicità e dell’eternità.