Scaltrezza mondana o evangelica?
1. La parabola evangelica non necessita di spiegazioni. Il primo termine di paragone è dato da un amministratore chiamato a render conto del proprio operato al padrone, egli infatti ne ha dilapidato la ricchezza e il suo licenziamento è inevitabile. Posto in una situazione difficile, avanti il suo allontanamento, egli l’affronta riflettendovi sopra: «Disse tra sé: che cosa farò?» (Lc 16,3), e finisce per escogitare una soluzione al contempo scaltra e geniale: «So io che cosa farò» (Lc 16,4). Falsifica la ricevuta dei debitori rendendoli suoi debitori (Lc 16,4), si fa cioè amici con la disonesta ricchezza (Lc 16,9). Il padrone che al pari dell’amministratore fa parte dei «figli di questo mondo» (Lc 16,8), furbi – scaltri – disonesti – preoccupati del proprio tornaconto – sempre dalla parte che conta, non può che tessere l’elogio di un simile a lui.
Il secondo termine di paragone sono i «figli della luce» (Lc 16,8) a voler dire: «come» l’amministratore e i figli del mondo «così» voi, imitatene non la disonestà ma la capacità di discernere con acutezza e di agire con prontezza e scaltrezza nella consapevolezza che verrà il tempo in cui bisogna rendere conto. Nel dettaglio: come i figli del mondo sono arguti e scaltri nella disonesta ricchezza così i figli della luce lo siano nei confronti di «quella vera . la vostra» (Lc 16, 11-12), la ricchezza del Regno vista nel volto e nei gesti di Gesù e ascoltata nella sua parola (Mt 13,16; Lc 10, 23-24). Su tale ricchezza va concentrato il proprio pensare e il proprio agire.
2. Ricchezza che ha un nome, il Dio di Gesù e il Vangelo di Gesù, e una caricatura, Mammona (Lc 16,13), termine che suggerisce l’idea di un deposito assicurato degno di fiducia e veritiero (Mamon da aman = credere, porre fiducia). Il figlio della luce è chiamato a discernere e a scegliere. Se il denaro idolatrato sappia che questo conduce alla negazione di Dio, aut-aut, o l’uno o l’altro (Lc 16,13), alla cancellazione dell’uomo ridotto nella sua identità a ciò che ha e nelle sue relazioni a lettura dell’altro come semplice strumento della propria capitalizzazione, e infine alla assenza di futuro. Il discepolo sia pertanto scaltro nel dire no a una via bugiarda che non merita fiducia a motivo del suo rendere ciechi e sordi verso sè stessi, l’uomo e Dio. Una via disonesta in sé: «Potreste voi dimostrare che la ricchezza è giusta? No, perché la sua origine è quasi sempre avvelenata da qualche frode .» (G. Crisostomo). E sia altrettanto scaltro nel dire sì a Dio, a Gesù e al Vangelo che aprono alla bellezza inenarrabile del dono nella gratuità: «Ebbene io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9). Il dare in una misura buona, pigiata, colma e traboccante (Lc 6,38), il gettare sui poveri i propri beni è farsi tesori nel cielo (Lc 12,16) e restituire sorriso agli umiliati della terra. La ricchezza, quella vera, dei figli della luce si chiama Vangelo e poveri, un essere chiamati da Dio in Cristo a una esistenza luminosa: donarsi e donare: «Mio e tuo non sono che parole. Non aiutare i poveri è rubare: quanto possediamo non appartiene a noi, ma a tutti Dio, all’inizio, non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra» (G. Crisostomo). I poveri, eredi per così dire naturali del Regno, saranno gli accoglitori di quanti li hanno visti e accolti quaggiù.
3. Il Vangelo, al versetto 14, prosegue: «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui». Annotazione importante. Ieri, oggi e domani i figli del mondo di ogni luogo nella loro scaltrezza che arriva illusoriamente a coniugare culto del denaro e pratica religiosa non possono che irridere la scaltrezza di chi ha trovato nella follia del Vangelo ragioni altissime di vita. Una irrisione a cui rispondere con il sorriso e la compostezza di chi sa che non vi è vita più bella di quella secondo il Vangelo, e il mondo segretamente invoca simili folli in Cristo.