Sentirsi finalmente inutili
1. «Credo, aiuta la mia incredulità a credere» (Mc 9,24). Queste parole del padre del fanciullo epilettico rivolte a Gesù fotografano bene la nostra situazione, e costituiscono un’ottima introduzione alle prime parole del Vangelo odierno: «Gli apostoli dissero al Signore: Accresci in noi la fede!» (Lc 17,5). La menzione degli apostoli rivela l’intervento redazionale di Luca, essi pregano il Risorto che aumenti la loro fede nello svolgimento del loro compito di annunciatori di Gesù e del suo Vangelo come la buona notizia di Dio al mondo. Domanda a cui segue una risposta illustrata da un paragone iperbolico: è sufficiente una piccola fede, il granello di senape, per ottenere risultati impossibili all’uomo (Mt 17, 20-21), il gelso o sicomoro alberi giganti sradicati e trapiantati nel mare (Lc 17, 6). «Ma il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). E facile è scambiare la fede con il credere di credere (Mt 7, 21-23), e stupirsi di chi pur non essendo della propria cerchia ecclesiale si riferisce con giustezza a Gesù o compie il bene senza aver incontrato Gesù riconosciuto da Gesù (Mt 25, 31-46).
2. Dall’insieme di tutte queste citazioni emerge che il confine tra non credere (apistìa), credere poco (oligopistìa) e credere (pistis) attraversa il nostro cuore di chiamati a un ininterrotto esodo dalla sponda del non credere e del poco credere alla riva del credere in intera fiducia. Una quasi impossibilità che non teme di farsi invocazione: «aiuta-accresci», una costatazione che rende cauti sull’uso stesso delle parole, le quali «non descrivono il mondo ma lo creano, gli danno il particolare profumo e colore che ha. Una parola da eliminare è: non-credenti. Ci sono grandissimi credenti fra chi non ha religione. Ci sono credenti deboli tra chi la religione ce l’ha, a cominciare dai fondamentalisti» (B.Spinelli).
Già Agostino ricordava che si può appartenere al corpo della Chiesa ma non alla sua anima e alla sua anima senza farne parte del corpo. La discrezione a questo proposito è quanto mai richiesta, dove stanno i credenti solo Dio lo sa, di certo esiste una storia misteriosa del credere al di fuori dei perimetri religiosi costituiti e una storia misteriosa del non credere o credere poco e male al di dentro dei perimetri religiosi costituiti (Gaudium et Spes 19). Di questo è testimone il nostro cuore perchè questo è quanto avviene nel nostro cuore, una crescita che induce il credente che è in noi a tradurre in preghiera il desiderio di divenirlo sempre di più, uomini che in libertà, gioia, e amore si decidono per il grande viaggio con un amico di nome Gesù e con una parola amica di nome Vangelo. Non una rinuncia ma una scelta che libera dal grande male della preoccupazione di sé, iniziati alla lettura di sè come «servi inutili».
3. Il detto «siamo servi inutili» (Lc 17,10), inizialmente rivolto ai responsabili delle comunità, di fatto riguarda tutti e va compreso alla luce della categoria del dono. Nel cristianesimo tutto è grazia: la chiamata, la conoscenza, il compito, lo stile in cui svolgerlo, la forza per adempirlo, la libertà per accoglierlo e il frutto che produce. Un esempio di quanto andiamo dicendo lo offre Paolo: « Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori… Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicchè, nè chi pianta nè chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere »
(1 Cor 3, 5-7). Discorso di sconfinata libertà è questo sapersi soggetti gratuitamente scelti attraverso cui gratuitamente il Vangelo si fa strada finalmente emancipati dal culto di sè: titolari della decisione di un Altro migliore delle nostre; epifania del volto e eco di un messaggio di un Altro migliore dei nostri; luoghi in cui l’Altro è riconosciuto e attraverso cui l’Altro edifica gli altri, liberati dalla indecente parodia dell’autoesposizione e dell’esibizione delle proprie opere buone. E questo senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni e senza ritenerci indispensabili, necessari. Infine un sogno si avvera, la liberazione da sè e dall’inutile fatica di sentirsi utili. Evento di grazia e di scelta. Finalmente inutili.