Un codice per il tempo della crisi
1. L’anno liturgico che volge al termine è memoria e annuncio nel rendimento di grazie del dono di Dio all’umanità di nome Gesù. Resi attraverso la celebrazione partecipi della attesa di lui, della sua nascita, del suo giorno pubblico, della sua pasqua, del suo Spirito e della sua parola che oggi illumina sul come abitare e attraversare i tempi di crisi. Tempi di distruzione della convivenza umana a motivo del linguaggio della violenza: «guerre e rivoluzioni» (Lc 21,9-10); del linguaggio della penuria e delle epidemie: «carestie e pestilenze» (Lc 21,11); del linguaggio della persecuzione: «metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno» (Lc 21,12), nel caso i discepoli del Signore ma non solo, e a motivo della distruzione delle costruzioni all’uomo le più care. Per l’israelita il tempio di Gerusalemme: «Chi non ha visto Gerusalemme in tutto il suo splendore, non ha visto nulla di bello nella vita. Chi non ha visto il Santuario nella sontuosità dei suoi addobbi, non sa che cosa sia il fascino di una città». Così si pensava e si diceva ma: «verranno giorni in cui non resterà pietra su pietra che non venga distrutta» (Lc 21,6). E così alla piccola apocalisse (Lc 17,20-18,8) che si riferiva al destino personale di ciascuno segue la grande apocalisse o rivelazione sul destino del mondo (Lc 21,5-36). E a ben vedere è sempre tempo di crisi personale e cosmica, tempo di «doglie del parto» (Rm 8,22), ma si danno momenti in cui l’accentuazione della catastrofe civile, del creato e religiosa è tale da generare l’ansia pubblica della fine con le scontate domande sul «quando accadrà questo» e su «quale sarà il segno che ciò sta per compiersi» (Lc 21,7). Domande fatte a Gesù, a colui che sa, il Maestro appunto (Lc 21,7), a partire proprio dalla sua affermazione sulla distruzione del tempio di Gerusalemme che diventa occasione per un discorso più ampio sulla fine del mondo, un racconto in cui si intrecciano avvenimenti storici, tra cui la persecuzione dei discepoli e la caduta della città santa, e segni premonitori della catastrofe finale. Domande a cui Gesù non si sottrae: «Rispose» (Lc 21,5), «Poi disse loro» (Lc 21,10).
2. Un dire che riguarda da vicino ogni generazione dei discepoli e tale da costituire in miniatura un piccolo codice comportamentale per i tempi dello sgomento. Questi, tenendo conto di tutto il discorso apocalittico, i suoi capitoli: non lasciatevi ingannare (Lc 21,8), non terrorizzatevi (Lc 21,9), alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina (Lc 21,28), vegliate e pregate (Lc 21,36), rendete testimonianza (Lc 21,13) e, infine, siate perseveranti (Lc 21,19). Gesù nei confronti di quanti in suo nome, i falsi profeti in comunità e non solo, terrorizzano con la paura di una fine imminente: «Il tempo è prossimo» (Lc 21,8) e con promesse illusorie di salvezza, è perentorio: «Non seguiteli» (Lc 21,8) e non lasciatevi spaventare da sempre ricorrenti teorie apocalittiche specializzate in date sulla fine del mondo e in ricette di come cavarsela. Piuttosto imparate a discernere le catastrofi dai molti nomi alla luce della pasqua: esse sono segni di un mondo che muore e preludio di un mondo nuovo che nasce, quello della liberazione definitiva dal male e dalla morte. Il mondo di Dio. Alla stessa maniera nella persecuzione i discepoli sono chiamati ad affidare, al pari di Stefano (At 6,10; 7,59-60), la loro risposta alla sapienza dello Spirito (Lc 21,14-15; 12,11-12), senza preoccuparsi di preparare la difesa; la loro vita alla potenza della resurrezione del loro Signore e la loro preghiera al Signore che perdona i persecutori (Lc 23,34). Questa la loro bella testimonianza, in questo, vegliando e pregando, perseveranti, questa la via della salvezza: «Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime» (Lc 21,19).
3. L’insegnamento è illuminante. Il discepolo nel tempo della crisi è condotto a un esistere oltre i facili irenismi, il male dai molti nomi esiste, e oltre il nichilismo, la distruzione personale e cosmica non ha l’ultima parola, essa appartiene al Figlio dell’uomo, al Sole di giustizia. Un esistere nella testimonianza, quella dell’amore che nessuno esclude, quella della speranza che sa vedere oltre e quella della fiducia nel suo Signore. Una grazia a caro prezzo nella calma, nel coraggio, nell’affidamento e nella libertà da calcoli e da promesse di seconda mano. Si tratta di essere sé stessi nei tempi buoni e nei giorni cattivi, fedeli al codice datoci dal Testimone fedele (Ap 1,5) che ha reso la sua bella testimonianza davanti a Pilato (1Tm 6,13).