Ripensare la regalità
1. L’evangelista Luca ci offre la giusta chiave di lettura della regalità di Gesù: lo spettacolo della croce. Di questo propriamente si tratta come evoca il vocabolo theoria e come suggerisce la carovana degli spettatori «accorsi a questo spettacolo» (Lc 23, 48), a questa rappresentazione. Quella di un bestemmiatore (Lc 22,71) e sobillatore (Lc 23,5) crocifisso con a lato due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra (Lc 23,33). Un condannato singolare: accusato di bestemmia si affida a Colui che bestemmia: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46), ed è questa la sua ultima parola. Accusato di sobillazione è perdono a quanti lo hanno condannato: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), ed è questa la sua terz’ultima parola. Accusato di essere un malfattore è al malfattore salvezza: «In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43), ed è questa la sua penultima parola. Un accusato-deriso perché dopo aver salvato gli altri non riesce a salvare sé stesso (Lc 23,35.39). E i cristiani da parte loro non hanno altro da esibire al mondo assieme alle reazioni dei convenuti che sono parte integrante della rappresentazione di «Cristo crocifisso, scandalo e follia» per gli uni (1Cor 1,23), «potenza di Dio, sapienza di Dio» (1Cor 1,24) e salvezza di Dio per gli altri.
2. Sì, «il volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), provoca le più svariate reazioni. Se quest’uomo fosse davvero «il Cristo di Dio, il suo eletto il re dei Giudei» (Lc 23,35-36.39), dicono all’unisono capi, soldati e uno dei due malfattori, avrebbe in sé la decisione e la forza di Dio di «salvare sé stesso», di scendere dalla croce. Il fatto che non accada conferma che egli non è il racconto di Dio ma il suo dirsi bugiardo, che egli non è la benedizione di Dio ma una «maledizione per noi»(Gal 3,13), e si avvera lo Sta scritto:»Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13=Dt 21,23). Per costoro Gesù non è re, non è cioè l’inviato e il rappresentante di Dio che ha in sé l’autorità della verità delle cose che dice su Dio, sull’uomo e sulla storia. Per altri invece questo appeso è il ‘giusto’: «veramente quest’uomo era giusto» (Lc 23,47) proclama il centurione, a cui fa eco uno dei ladroni: «non ha fatto nulla di male» (Lc 23,41). Non resta che «percuotersi il petto ripensando», ed è ciò che fanno le folle convenute a questo spettacolo (Lc 23,48), e non resta che «osservare questi avvenimenti» con lo sguardo del cuore per penetrarne il senso recondito, cosa che fanno conoscenti di Gesù e donne che lo avevano seguito sin dalla Galilea (Lc 23,49).
3. L’intenzione di Luca è chiara ed è un invito agli spettatori di oggi che siamo noi a collocarci dalla parte del centurione, del ladrone pentito, delle folle, dei conoscenti e delle donne. La giusta posizione per un’ intelligenza profonda della regalità che emana da quel Messia crocifisso. Regale non è il pensare a salvare sé stessi ma il donare sé stessi, non lo è cioè il scendere dalla croce ma il rimanere inchiodati ad essa a segno che nulla eguaglia la nobiltà dell’amore fino alla consumazione di sé. Regale inoltre è il perdonare chi ti uccide e il rendere partecipe del tuo mondo, il paradiso, chi ti muore a fianco e ti invoca. E ancora regale è il ricapitolare in sé i giusti crocifissi di ogni luogo e di ogni tempo indicando come la loro dedizione non è stata vana, ad essi via di resurrezione e al mondo seme di trasfigurazione (At 3,19-20). E lo è altresì l’immedesimarsi con i maledetti della terra condividendone compagnia e sorte per essere ad essi la benedizione di Dio. Regale è infine il dono dello Spirito che dischiude alla grande confessione: «Veramente quest’uomo era giusto», in lui abbiamo visto e vediamo la giustizia di Dio come fedeltà alla sua verità di dono di sé al mondo senza riserva alcuna, e in lui abbiamo visto e vediamo la giustizia dell’uomo modellato su quella di Dio. Dicendo Gesù Cristo re dell’universo celebriamo e proclamiamo che i mondi interi sono chiamati in lui a una ri-visitazione e a una ri-recezione della regalità. Re è il Servo mite, umile e dedito all’altro fino alla perdizione di sé. Questa via, la via crucis, è la via regale del compimento di sé come dono e della salvezza, è via resurrectionis. Tale Re è Dio, è Cristo ed è l’uomo a immagine del Cristo di Dio. Arrivati a questa intelligenza l’anno liturgico può dirsi concluso, ha adempiuto il suo compito regale.