Vegliardi delle consumazioni
1. La domanda di futuro, sia esso personale – collettivo- cosmico, da sempre accompagna il cammino dell’uomo con le sue attese di alto, di basso o di nessun profilo. Domanda da un lato indice di delusione nei confronti del presente dicendo no al duro principio della realtà, e d’altro lato indice di speranza di un mondo diverso dicendo sì al principio utopia, a ciò che ancora non ha luogo ma verso cui si tende con tutte le proprie energie personali e collettive.
Ed è proprio a partire da queste divaricazioni tra «già e non ancora» che nascono e si sviluppano le grandi visioni utopiche della storia. Ad esempio il comunismo come via al non ancora della società giusta; il liberalismo come via al non ancora della libertà di coscienza e della emancipazione dal bisogno attraverso il libero mercato, e altresì la perversione nazi-fascista come via al non ancora della razza pura e superiore. Visioni i cui esiti hanno generato in simultanea la cultura del sospetto verso promesse di eccessivo profilo e la domanda di un futuro attento all’individuale, al familiare e al regionale senza precludersi la sollecitazione della cura dell’altro. Prospettiva essa stessa messa in crisi dall’insicurezza economico-sociale e dal diffondersi della coltivazione del «non senso», che equivale al lento spegnersi dell’idea stessa di speranza e pertanto di futuro specie se ridotto a profitto.
2. È all’interno di questa complessa realtà che il tempo liturgico dell’Avvento annualmente provoca i discepoli del Signore a un atteggiamento responsabile nei confronti della terra al punto da non privarla della virtù teologale della speranza in un futuro ultimo che il vocabolario biblico denomina in vari modi. Tra l’altro cielo nuovo e terra nuova (Ap 21,1), Gerusalemme nuova (Ap 21, 2), città del sole (Ap 21,3) e paradiso (Lc 23, 43), opera dell’ “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Discepoli dunque simili a gufi dallo sguardo dilatato che squarciano il presente e vedono l’oltre, costituiti per purissima grazia memoria e annuncio di una utopia promessa in una attesa sognata e invocata a nome e a vantaggio di tutti e del tutto.
L’utopia dell’approdo alla patria prima e ultima dell’uomo (Fil 3, 20), alla sua città futura (Eb 13, 14) in una comunione senza lacrime, senza lutto, senza affanno e senza morte (Ap 7, 17). Un’aurora senza notte (Ap 21, 23). È urgente scoprire il proprio compito di sentinelle di destini ultimi nel tempo dei corti respiri.
3. La pagina evangelica è un invito a questo «cercare di capire» (Mt 24, 43) che la cosa ultima non è la morte personale o la fine del mondo, ma la venuta di Colui che introduce nella ‘domenica eterna’, nell’ ‘ottavo giorno’ della luce dopo quelli della settimana storica. Un cercare di capire che qui e ora libera dalla ‘cultura del sonno’ (L. Pozzoli): “risvegliate la vostra mente” (Mt 24, 42) a questi orizzonti, e fatevi “trovare pronti” (Mt 24, 44) all’incontro con il Signore che viene a rinnovare con il suo amore la faccia della terra, rivestiti dell’abito nuziale della fede, della speranza e dell’amore. Presi da Lui e condotti da Lui. Nella consapevolezza che il suo venire lo può essere sia in tempi tragici che nella normalità, nella quotidianità, nel lavoro, nel mangiare, nel bere e nello sposarsi.
L’ora ci è ignota. A ben vedere si tratta di risvegliare la coscienza al sapersi «vegliardi delle consumazioni» (H. Le Saux), frammenti che conservano vivo per tutti un aspetto singolare del credere: «la fede fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11, 1). La fede come attesa di un incontro ultimo, fiaccola che porti a compimento quelli penultimi nella «parola», nel «pane» e nel «povero»; che porti a piena maturazione ciò che il suo venire nella povertà dei segni già produce: l’esserci nell’amore e nell’attesa della sua definitiva fioritura, con alle spalle male e morte. Futuro è il non ancora del presente.