L’Agnello vittima e vincitore
1. «Tu, chi sei?» (Gv 8,25). A questa domanda sulla identità di Gesù è risposta l’intero Vangelo di Giovanni che può essere definito una testimonianza tesa a conservare viva la memoria di quanto il «noi» apostolico ha visto, udito, conosciuto, saputo e toccato con mano a riguardo di Gesù (1Gv 1,1-4). Un «noi» attento a riassumere l’insieme delle testimonianze su Gesù: quelle del Padre (Gv 5,37; 8,18), dello stesso Gesù (Gv 8,14), delle sue opere (Gv 5,36), del Paraclito (Gv 15,26), delle Scritture (Gv 5,39), dei suoi (Gv 5,26; 1,14), del discepolo amato (Gv 19,35; 21,24) e di Giovanni il Battista (Gv 1,7-8. 15.19.32.34). Testimonianze plurime e pubbliche finalizzate allo svelamento del segreto di Gesù, il suo «chi è», e del suo significato, il suo «che cosa è» per l’uomo e per il mondo.
2. Il Vangelo odierno porge una di queste testimonianze, quella di Giovanni il Battista che il quarto Vangelo, unico, definisce, rivisitandone la figura e l’opera, «l’amico dello sposo .[che] esulta di gioia alla voce dello sposo» (Gv 3,29). Un’amicizia fatta «voce» (Gv 1,23), «indicazione» (Gv 1,36) e «testimonianza». Quest’ultima concentrata in primo luogo a dirimere il conflitto dei Messia tra i discepoli di Gesù e quelli del Battista, questione aperta anche dopo la scomparsa dei due. E qui risolta con la netta affermazione del battezzatore: «Io non sono il Cristo» (Gv 1,20; 3,28) ma il testimone che lo indica: «E io ho visto e testimoniato che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,34), non io ma «lui» (Gv 1,33). Una visione frutto di una iniziazione: «Proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui » (Gv 1,33) il Figlio – Agnello. Una conoscenza a cui il battezzatore introdurrà i suoi stessi discepoli che a partire dalla sua testimonianza diverranno discepoli di Gesù imparando da lui il come rapportarsi a Gesù. Un rapporto di amicizia confermato dallo stesso Signore: «Non vi chiamo più servi ma amici» (Gv 15,15), una amicizia tradotta in una testimonianza fatta voce e fatta dito: voce che annuncia la Parola fatta carne (Gv 1,1.14), voce che rivela la Luce venuta a illuminare ogni uomo (Gv 1,8-9; 8,12) e dito che indica l’Agnello (Gv 1,29-36). Nella prospettiva del quarto Vangelo il Battista profetizza la Chiesa come voce, testimone e dito ricordando ad essa l’assoluta centralità del Figlio – Agnello e la sua radicale non autoreferenzialità: «Lui deve crescere, io, invece, diminuire» (Gv 3,30). E altresì è memoria che la conoscenza di Gesù come Figlio – Agnello, e la conseguente testimonianza, è frutto di purissima grazia, è dono offerto alla libera accoglienza della mente e del cuore. Al mistero non si accede per logos, la via della ragione, ma per charis, la via della grazia non disattesa ma accolta, celebrata e pensata con tutto l’essere. È lo stesso Gesù a ricordarlo: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre» (Gv 6,44), Padre che ha rivelato al Battista, e tramite il Battista Gesù come Figlio in veste di Agnello. E in questo sta una risposta al «Tu, chi sei» di Gesù: Il Figlio di Dio o Messia (Gv 1,34) inviato quale Agnello di Dio a togliere il peccato del mondo (Gv 1,29), ove l’immagine dell’«agnello» rimanda all’agnello pasquale (Gv 19,36; Es 12,16), al Servo sofferente di JHWH (Is 52,13-53,12) e all’agnello vincitore del filone apocalittico (Ap 6,15-16), mentre il verbo «togliere» indica al contempo «prendere sopra di sé» e «spazzare via». A voler dire da un lato che Gesù, alla maniera mite, dolce e innocente di un agnello: «In lui non c’è peccato» (1Gv 3,5), e in tutta libertà (Gv 10,18) e amore (Gv 13,1), ha assunto e sperimentato su di sé la condizione umana soggetta al potere dell’idolatria (1Gv 2,16) e dell’odio (1Gv 3,14-15) generatori di un mondo di peccato nell’egoismo, nell’avidità e nell’autosufficienza che opprime e reprime (1Gv 2,16). Odio datore di morte a quanti non amano il suo mondo (1Gv 2,15) e a chi, come Gesù, non prega per quel mondo (Gv 19,7). Un Gesù – Agnello contemplato come ricapitolazione di tutte le vittime di ogni luogo e di ogni tempo, e come rivelazione della causa che le genera: il cuore idolatra e di odio che arma la mano ai carnefici dai molti volti e dai molti modi. Un Gesù – Agnello d’altro lato contemplato come via d’uscita da un mondo posto sotto il segno della distruzione. Il peccato del mondo che è l’idolatria – odio generatori di un mondo nel peccato, può essere vinto ove il Dio – amore e il comandamento dell’amore sostituiscono l’idolo e il disamore, e nasce il mondo dell’adorazione e della dedizione al bene. Di questo nuovo mondo Gesù è l’archetipo, a chi lo uccide è vittima che perdona (Lc 23,34), e solo la vittima lo può, un perdono esteso ai malfattori di ogni luogo e di ogni tempo (Mt 26,28; Rm 5,6-8; 1Gv 2,2; 4,10) assieme a uno Spirito effuso nei cuori di ogni luogo e di ogni tempo (Gv 19,30), il battesimo nello Spirito Santo di cui parla il Battista (Gv 1,23), che è forza capace di traghettare il cuore umano dalla sponda dell’odio – morte alla riva dell’amore – vita. E la mano armata diventa mano amica attenta a lenire e a non provocare il dolore del mondo. Per quanto è dato.
3. «Tu, chi sei?», ci chiedevamo all’inizio. La testimonianza del Battista apre la mente del cuore a vederlo come il Figlio – Agnello che ha convertito la ferita che l’uomo gli ha procurato in feritoia da cui sgorga il fiume dell’amore che tutti perdona e il fiume dello Spirito che da avvio a una storia di generati dall’amore, di orientati dall’amore e di destinati a un mondo di amore. Ai datori di dolore, inquieti e scontenti della loro situazione, mendicanti di diversità, Dio porge l’Agnello – vittima del male al contempo Agnello – vincitore del male in sé stesso e in quanti si lasciano immergere nel suo oceano di amore: «Chiunque rimane in lui non pecca» (1Gv 3,6). Per un mondo nella luce.