Il ritratto dell’uomo felice
1. La Luce che sorge nella notte (Mt 4,16) discende nell’ombra dell’uomo infelice per dare forma all’uomo felice, e lo è colui al quale è stato dato di intuire la propria ineffabile verità e di intraprendere il viaggio verso un conseguimento sempre più pieno di essa dimorandovi. Felicità è coincidere con il sogno di Dio su ciascuno, è divenire il proprio Sé, la gioia è il fiore che sboccia sul terreno della verità dell’essere. E la cosa sta a cuore a Dio che in Cristo, vero uomo e uomo vero, ha donato all’umanità il ritratto dell’uomo felice venuto a espandere musica (Mt 11,17) e gioia (Gv 15,11). Felice perchè povero (2Cor 8,9), perché nel pianto (Lc 19,41; Gv 11,35), perché mite e umile (Mt 11,29), perché misericordioso (Mt 9,13), perché semplice (Mt 11,25-27), perché uomo di pace (Ef 2,14) e perché perseguitato (Gv 15,20). In breve perché vero.
L’uomo nascosto a sè alla ricerca di sé e Cristo, incarnazione di tutto il discorso della montagna il cui inizio sono le beatitudini, sono pertanto la chiave di lettura di esse, un discorso di altissima sapienza, dato evocato tra l’altro dal luogo stesso ove avviene, il monte che rimanda al Sinai e a Mosè; e un istruire da parte di un maestro di sapienza, dato evocato tra l’altro dal suo stare seduto, la posizione di chi ammaestra, nel caso di Gesù folle e discepoli di ieri e di oggi (Mt 5,1), maestro che è ciò che dice. Beatitudini dunque da leggersi non come codice morale o come improbabile manifesto utopico ma come racconto della verità dell’uomo esemplificato nell’uomo autentico che è Cristo. Esse sono una pagina di sequela del Signore, l’itinerario di una vita nell’allegrezza, la risposta al quesito di sempre: chi è l’uomo felice?
2. Felice è l’uomo giusto, e Gesù stesso si presenta come risvegliatore della coscienza alla «fame e alla sete della giustizia» (Mt 5,6), quella « superiore» (Mt 5,20) data da un esistere secondo il Vangelo, altrimenti detta « cristiforme» (Rm 8,29) o « secondo lo Spirito» (Rm 8,4s); un modo di esserci riflesso di quello del Padre: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). E compiutamente giusto è l’ uomo misericordioso (Mt 5,7) e pacificatore (Mt 5, 9), distrutta in sé la categoria del nemico; è l’uomo mite (Mt 5,59) e piangente (Mt 5,4), le lacrime di chi soffre vedendo il dolore proprio e del mondo, vedendo il male che l’uomo fa e si fa; è l’uomo nel gaudio quando perseguitato in nome di Gesù e delle sue ragioni (Mt 5,11-12; At 5 ,41), amante allegro e libero fino, alla consumazione di sé, di quantico non lo amano. Èl’uomo che può fare questo perché a lui è stato fatto questo da Dio in Gesù.
A questa singolare tipologia di uomo a immagine e somiglianza di Dio, contemplata nel volto, udita nella parola e vista nel gesto di Gesù, si perviene attraverso il dono della purità di cuore: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8), condizione richiesta per entrare nel tempio di Dio alla vista di Dio (Sal 24 3s; 51,12; 73,1). Ove purità equivale a «semplicità», quella che rende trasparente lo sguardo (Mt 6,22) liberandolo da ogni doppiezza (Gc 4,8; Eb 12,14), e puro, cioè non contaminato, è l’essere nel cui profondo, biblicamente il cuore o lo spirito, dimorano un solo pensiero e una sola via, quelli di Dio in Cristo che rendono veggenti circa Dio, se stessi e la realtà. Una visione fonte di beatitudine. Tale uomo dallo sguardo dilatato, il costituito nella dolcezza umile luogo e riflesso della giustizia, della misericordia e della pace di Dio in Cristo, è detto in una parola « povero nello spirito»: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3).
3. Siamo al cospetto di una sorprendente parola rivolta dalla Sapienza-Luce ai suoi e a ogni creatura mendicante della propria verità e della propria felicità. Vero e beato è l’uomo povero, straniero dentro e fuori alla libidine della merce e del potere conseguiti ad ogni costo e con ogni mezzo generando l’interminabile scia dei piangenti,i violentati e i perseguitati dentro e fuori in nome del proprio «dio»: l’onnipotenza dell’io personale e di gruppo, il dominio e l’avere.
Il povero nel cuore è colui che ha detto no a questa visione e si al « Regno dei cieli», al mondo di Dio che è là ove è il povero nello spirito, il prototipo dell’uomo vero nel suo porsi come il totalmente aperto a ricevere da un altro da sè il senso al proprio Sé. Il sapersi, oltre ogni illusoria autosufficienza, bisognoso di consolazione attraverso cui la Consolazione terge le lacrime sul volto dei piangenti, il sapersi bisognoso di compassione tramite cui la Compassione tende la mano a chi invoca pietà e il sapersi bisognoso di pacificazione mediante cui la Pace si incunea tra i muri della inimicizia che separa. Questi è l’uomo felice, e lo è davvero, icona del Cristo felice, immagine del Dio felice al punto da rallegrarsi se perseguitato per queste ragioni. Occasione da non sprecare per non privare gli operatori di ingiustizia della possibilità di incontrare la consolazione, il perdono e l’amicizia, la visione cioè di una diversa giustizia che il povero secondo il Vangelo delle beatitudini, homo felix, offre ai sazi mai sazi di questo mondo. Un « già» verso il suo « non ancora», nel senso che questa figura di uomo modellata su Cristo è già presente e operante (Mt 5,3) là ove la parola udita trova spazio, lo spazio del «Regno dei cieli» che apre cammini la cui fioritura sarà nell’allora di una novità in cui avrà stabile dimora la giustizia (2Pt 3,13) e «ogni lacrima sarà asciugata dai loro occhi» Ap 21,4).