Abitare la Terra come sale e luce
1. I beati perché conformi a Cristo nel loro essere poveri di sé, di potere e di cose e ricchi di lacrime, di consolazione, di mitezza, di giustizia, di misericordia, di pace , di semplicità e di futuro sono detti da Gesù «sale» e «luce». Dio sapienza-luce nel Figlio sapienza-luce genera alla terra e al mondo figli della sapienza e figli della luce: «Voi siete il sale della terra-Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14). Un «voi» al plurale a indicare l’insieme e ciascuno dei discepoli quale luogo attraverso la sapienza e la luce di Dio apparse nel Messia si fanno storia. Il perché del venire di Dio in Gesù si chiarifica e, detto altrimenti, consiste nel tirar fuori dall’uomo vecchio l’uomo nuovo (Ef 4,22.24), dall’uomo insipido l’uomo che ha sale in sé stesso (Mc 9,49 ) e dall’uomo tenebra l’uomo luce (Ef 5,11.8). Infatti « ciò che conta è l’essere nuova creatura» (Gal 6,15 ) e umanizzazione dell’uomo è il nome della preoccupazione di Dio, il suo sperarlo «perfetto a misura della statura di Cristo» (Ef 4,13), del suo pensare, della sua incontenibile passione d’amore, del suo operare (1Cor 2,16; Fil 2,5; 1Gv 2,6 ). In questa prospettiva,alla domanda degli antichi sul perché Dio si è fatto uomo, il Vangelo risponde perché l’uomo diventi uomo sapiente luminoso, dando sapore e bellezza alla vita. E si chiarifica altresì il perché dell’esserci della comunità dei discepoli, nel e al mondo umano indici reali di una possibilità reale.
2. Decisivo nella esperienza cristiana è la sottolineatura dell’eros di Dio in Cristo, tale da non eludere nessuno e di non disperare di nessuno. Egli si immerge nell’oceano della insensatezza non apostrofando con i titoli di «Stupido»e di «Pazzo» ( Mt 5,22), ma sbriciolando perle di saggezza per una esistenza decorosa, perle assolutamente necessarie come il sale. In quel preciso ambito culturale infatti il sale appartiene alle cose indispensabili al pari dell’acqua, del fuoco e del ferro, rende i cibi gustosi (Gb 6,6), li conserva (Bar 6,27) e «il valore duraturo di un contratto» viene denominato «alleanza di sale» (Nm 18,19), evento di saggezza. Ne consegue che l’uso metaforico fattone da Gesù sia quanto mai appropriato. Alla convivenza umana per essere tale urge il sale della sapienza che unico dischiude a relazioni ricche di senso, e Gesù si presenta come mano aperta piena di sale, dono da accogliere per condire di saggezza il villaggio umano. A questo sono chiamati i discepoli, al compito di salare la terra con la parola ricevuta dal Signore, avvertiti del fatto che l’eventualità della regressione è sempre possibile. Dire di seguire Gesù tradendo sistematicamente il Vangelo è un non senso, e il sale divenuto senza sapore «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5,13). Lo stesso discorso vale per la metafora della luce. L’essere resi sapienti evangelicamente per espandere sapienza evangelica equivale ad essere costituiti luce da Dio luce (Sal 27,1; 1Gv 1,5) in Cristo luce (Mt 4,16; Lc 2,32: Gv 8,12) al fine, attraverso una vita nello splendore visibile nel compimento di opere belle e buone, quelle del sermone del monte, di notificare pubblicamente che vale la pena vivere così. Questo esistere da illuminati che riflettono luce al contempo è manifestazione e glorificazione di colui che lo ha reso possibile, il Padre nel Figlio (Mt 5,16). Pertanto i chiamati a divenire città del sole e lucerna non si nascondano disattendendo il mandato di portare luce alla casa dell’uomo. Non si tratta di farsi vedere, l’esibizionismo religioso, ma di fare vedere l’uomo a sé stesso e il Dio che lo genera.
3. Questo brano evangelico ha da sempre ispirato la riflessione cristiana alle prese con il problema sul come abitare la terra, offrendo indicazioni decisive. In termini negativi non da «integrati», vale a dire non da conformi e omologati a un mondo che pensa non evangelicamente (Rm 12,2): «Nel mondo ma non del mondo» (cf Gv 17,14-16). Non da «separati»: «Non prego che tu li tolga dal mondo» ( Gv 17,15). Come il sale è nella, con, per la minestra così i cristiani sono dentro la storia condividendo con tutti i problemi, le gioie e i dolori di tutti in un atteggiamento teso al vantaggio di tutti a partire dagli ultimi. La setta dei puri che si chiude in sé stessa fuggendo la compagnia degli uomini è al di fuori dell’orizzonte evangelico. Non da «invadenti». Il sale non è la minestra, la Chiesa non è il mondo e deve accettare il proprio limite che è dato dall’autonomia sociale, culturale e politica di questa terra senza indebite invasioni di territorio. Non da «autoreferenziali» che agiscono per farsi notare e ammirare ( cf Mt 6,1s). Il protagonismo, l’esibizione e l’ostentazione non appartengono allo stile cristiano che ruota attorno al concetto di alterità: la chiamata, l’invio e il modo sono non da sé ma da un Altro, non per sé ma per gli altri finalmente liberi dal grande male che è l’essere ricurvi su di sé, l’ecclesiocentrismo.
Pertanto, e detto in termini positivi, i discepoli in quanto discepoli sono chiamati ad abitare la terra in un amore responsabile preoccupato di non privarla del sapore e della luminosità evangelici. In questa testimonianza riflessa dal volto, dalla parola e dal gesto sta lo specifico cristiano, il suo «altrimenti» che da un lato rende pubblica la passione di Dio in Cristo per l’umanità e dall’altro edifica il cammino dell’uomo.