Custodire fino a che punto?
1. «Se il tuo fratello commetterà una colpa» contro di te o contro altri, che fare?. Il quesito è molto circoscritto e singolare la risposta, preoccupata di puntualizzare quali iniziative assumere per favorire la riconciliazione tra il fratello trasgressore e la comunità ecclesiale locale. Risposta che riflette il retroterra giudaico proprio allo scritto matteano, ad esempio quello di Ezechiele: «Se tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta io domanderò conto a te» (Ez 33,8); e prima ancora quello del Levitico: «Non odierai il tuo fratello nel tuo cuore, ma correggerai apertamente il tuo prossimo» Lv 19,17), e infine quello della Regola di Qumran: «Non devi odiare il peccatore ma correggerlo il giorno stesso Parimenti, nessuno porti una causa che riguarda il proprio prossimo di fronte ai molti senza averlo prima avvertito di fronte a dei testimoni», perché «ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni» (Dt 19,15). Siamo al cospetto di una prassi di correzione fraterna modellata sulla misericordia e sulla gradualità, in obbedienza al principio che Dio non vuole la morte ma la vita del peccatore, escogitando ogni possibile via perché questo accada: dal faccia a faccia, all’intervento di due testimoni sino alla chiamata in causa della comunità locale. Questa la via di Matteo attinta a piene mani da una tradizione a lui familiare.
2. A questo punto diviene importante chiedersi quali sono le ragioni ultime sottese a questo procedimento, a questa scaletta di correzione fraterna. Le possiamo così riassumere: la comunità dei radunati da Gesù attorno a Gesù (Mt 18,20) è da lui costituita una fraternità: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8), sorretta da una precisa indicazione: «Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda» (Mt 18,14).
Volontà espressiva di un amore che non può che pensarsi interamente dedito alla custodia dell’altro (Gen 4,9), a partire da chi in comunità ha smarrito la via maestra dell’atto di fede in Gesù, dell’atto di speranza nella vita eterna e dell’atto di amore incondizionato e unilaterale verso l’altro, un amore onnicomprensivo che si estende a qualsiasi creatura sotto il sole. Una custodia premurosa e creativa, in grado cioè di sviluppare un’arte della correzione fraterna innanzitutto nel discernimento, il dare il nome alla colpa oltre ogni indifferenza che diventa di fatto complicità; in secondo luogo nella non negazione del titolo di fratello a chi in comunità fa ciò che è male (Lc 18,15), lontani dall’imitare il fratello maggiore della parabola lucana (Lc 15,30-31); in terzo luogo stando attenti alla trave che è nel proprio occhio (Mt 7,1-5), e infine nella dolcezza, nella pazienza (Gal 6,1; 1Ts 5,14; 2Tm 2,25) e nella pluralità di iniziative, ad esempio le tre indicate da Matteo e altre ancora. Correzione fraterna dunque uguale a traduzione di un amore per il fratello in colpa radicalmente tesa al suo «guadagno», vocabolo che evoca ricchezza, e tesoro da acquistare è il fratello che si è perduto sulle orme del pastore, della donna e del padre che hanno smarrito una pecora, un denaro e un figlio (Lc 15).
Unicamente un cuore custode sa vedere e sa essere vigile, lontano dal male vicino a chi fa il male coniugando insieme verità e amore (Ef 4,15).
3. Custodia sì, ma fino a che punto? La eventualità dello scacco è sempre possibile. Leggiamo: «Se ( il fratello) non ascolterà (il tu, i due o tre e la comunità) sia per te come il pagano e il pubblicano» (Mt 18,16-17), vale a dire sia per te un «esterno alla comunità» (Mt 5,46-47) a motivo del suo essersi rifiutato a ogni tentativo di conversione e di ritorno. Ma mai sia un «esterno al tuo amore» a imitazione del Padre (Mt 5,45.48) che nel Cristo si è fatto convivialità e misericordia ai pubblicani, ai peccatori (Mt 9,10-14) e ai pagani (Mt 8,10). Una prassi in definitiva propria alla Chiesa di Matteo oscillante tra il «legare» e il «sciogliere» (Mt 18,18), ove il legare è ratificazione di un dato di verità, la comunità si limita a confermare il «porsi fuori» di quanti con perseveranza sistematica si ostinano in sistemi di pensiero e stili di vita non compatibili con la sequela di Cristo. Mentre il «sciogliere» indica che la porta è sempre aperta, i perdoni di Dio non sono mai finiti (Mt 18,23), indica che la verità è abitata dall’amore custode.
Un binomio da mai scindere: quando manca la verità della correzione fraterna la vita cristiana rischia di scivolare in compromessi tali da renderla insipiente e muta; quando manca la carità la correzione cessa di essere fraterna e nascono roghi, emarginazioni, delazioni, paure, tribunali e scomuniche di cui poi vergognarsi. L’amore non può mai essere legato ed è il solo in grado di poter sciogliere soluzioni al momento chiuse. Per questo non è impossibile immaginare una ulteriore variante alla prassi matteana, nel senso che una comunità sufficientemente radicata nel Signore e nel suo amore è sufficientemente attrezzata per una vita comune che non si impedisce al mangiare con il fratello incallito nel suo male senza toglierlo, neppure temporaneamente, dalla propria compagnia (1Cor 5). A segno che l’ostinazione dell’amore è più forte di ogni altro segno, comprese le cosiddette «scomuniche medicinali».
La custodia del fratello, e di ogni uomo, non ha limiti, non ha punti di arresto e rischioso è escludersi dalla categoria dei peccatori. Questo dice il Vangelo di oggi la cui accentuazione non verte tanto su aspetti di tipo giuridico-formale ma piuttosto sul come relazionarsi in concreto dinanzi a chi non vuole uscire da una situazione evangelicamente non sostenibile: «misericordia voglio e non sacrificio», non è questo il tempo della condanna (Mt 13,37-38.40-41).