Il perdono libera dalla paralisi
1. «Figlio, ti sono perdonati i peccati» (Mc 2,5). Al termine «peccato» sono sottesi molti significati: che possono essere così riassunti: esso indica direzione sbagliata, una deviazione che non permette di conseguire il giusto obiettivo dando origine a gente piegata, curvata e intristita dal senso di colpa. Tale peccato viene poi paragonato a una potenza quasi personificata insediata nel cuore dell’uomo (Rm 5,12; Gal 3,22) e palese in un modo di pensare, di volere e di vivere da nemici di Dio, dell’altro e del creato, e questo in molteplici modi, i singoli peccati. Paralizzati nei confronti del bene. Siamo dinanzi a una visione non idilliaca dell’uomo letto come soggetto capace di male, un dato incontestabile come dimostrano sia le storie personali che quelle collettive. Di certo l’uomo non è solo questo ma è anche questo, ed è a quest’uomo simboleggiato dal paralitico della pagina evangelica che Gesù rivolge la sua parola (Mc 2,2) di perdono. Parola che fa di quel paralizzato prostrato un rimesso in piedi restituito a nuovi cammini: «Dico a te : alzati, prendi il tuo la tua barella e va’ a casa tua. Quello si alzò subito e se ne andò» (Mc 2,12). Marco invita a una comprensione sempre più profonda di Gesù: l’annunciatore della vicinanza di Dio all’uomo alienato, una prossimità con l’autorità di chi fa accadere ciò che dice, lo è in modo particolare al peccatore, al tarato dentro, all’incapace di uscire dalla via del male e di imboccare la via del bene. E lo è in due modi. In primo luogo trasformando il cuore reso di pietra dalla malvagità in cuore reso di carne, umanissimo, dalla bontà (Mc 7,14-23). Gesù è il taumaturgo delle profondità, sa dove il male dimora e sa che non vi è guarigione se non del cuore. Una prospettiva in cui perdonare equivale a ri-dare un orizzonte di pensiero nuovo e, in secondo luogo, a remissione dei peccati al plurale, traduzioni del grande peccato che è il disamore per Iddio e per l’uomo.
2. È in questa ottica che va letto il brano evangelico odierno nel suo sottolineare che il perdono di Dio in Gesù è potenza capace di rimettere in piedi i paralizzati dal male restituendo ad essi una innocenza interiore per una diversa esistenza. Questa è la grande opera di Dio di cui la guarigione fisica è segno (Mc 2,9-11), l’alzarsi del paralitico è l’icona del suo essere restituito alla sua verità di graziato. Escluso, bene inteso, ogni legame causa-effetto tra peccato e malattia (Gv 9,3), lettura estranea a un testo che invece rimarca con decisione l’aspetto della fede. A voler dire che ogni dono diventa pienamente tale quando è dono accolto, fede come adesione e accoglienza incondizionata della forza di Dio che emana da Gesù. Fede come fiducia mai arresa a questa forza creatrice cuori e corpi nuovi, tale da escogitare l’impensabile, lo scoperchiare i tetti, pur di incontrare e di far incontrare con la buona notizia di Dio che è Gesù. È la fede della folla e del paralitico che non sfugge a Gesù e che invera perdono e guarigione (Mc 2,5.11), fede evocatrice di quella della Chiesa chiamata a favorire con ogni mezzo l’incontro dei mendicanti di misericordia con la Misericordia, fede contraddetta da alcuni scribi che in cuor loro definiscono Gesù un bestemmiatore nel suo attribuirsi la prerogativa divina del perdono dei peccati (Mc 2,6-7). Un Gesù che risponde identificandosi con il Figlio dell’uomo di Daniele 7,13-14, personaggio celeste inviato e venuto a compiere l’opera del cielo, nel caso il perdono avendone potere-autorità (Mc 2,8-10). I lettori sono avvisati, la lettura di Gesù come buona notizia di Dio che «annuncia la Parola di Dio» in gesti e sillabe insieme non lo è per tutti. Egli è segno di contraddizione.
3. L’assemblea liturgica che rende grazie a Dio e lode a Cristo sa perché. Identificata al peccatore paralizzato viene nel qui e ora incontrata dal perdono di Dio di nome Gesù, un incontro che produce il suo effetto se il dono viene accolto con la fede di quella folla e di quel paralitico. Per un nuovo cammino: perdonati che nella riconoscenza perdonano iniziati a vedere in ogni più o meno devastato come noi un figlio amato da Dio. Non a caso Gesù si rivolge al peccatore chiamandolo « Figlio» (Mc 2,5).