Il Messia risorto
1. Tre donne, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, sono figure centrali del vangelo di Marco. Esse, le mirofore, hanno seguito Gesù in Galilea (Mc15,41), hanno assistito a distanza alla sua crocifissione (Mc15,40), hanno osservato bene il luogo del suo seppellimento (Mc15,47) e ora «passato il sabato vennero al sepolcro al levar del sole» per ungere con oli aromatici il corpo di Gesù (mc16,1-2). Un venire accompagnato da una preoccupazione: «chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?» (Mc15,3). Tre donne ricche di nostalgia di Gesù e piene di premura per il suo corpo morto, e lontane al pensare qualcosa tipo resurrezione dalla morte. In definitiva senza speranza.
È a queste donne che improvvisamente si apre uno scenario inedito: la pietra è stata rotolata via e, entrate nel sepolcro, vedono «un giovane vestito d’una veste bianca», indice della sua origine e provenienza celesti, e costatano l’assenza del corpo di Gesù. Motivi sufficienti per essere prese dallo stupore e dal panico, terrorizzate (Mc16,4-5). Se l’andare al sepolcro era nella tristezza per una vita spenta, ciò che accade al sepolcro le getta nello spavento. Una paura non attutita dall’annuncio del giovane: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto» (Mc16,6). Un annuncio seguito da un compito: «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro:Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc16,7).
Un invito alla non paura e un mandare a dire la cui risposta è stata una paura-spavento tali da ridurle a creature fuori di sé, a fuggitive precipitose e a bocca cucita: «Esse uscirono e fuggirono via piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno» (Mc16,8). Marco conclude così il suo vangelo, ciò che segue è una aggiunta successiva per addolcire il racconto.
2. Di fatto, annota l’evangelista, si fugge sempre: dinanzi a un Messia crocifisso, dinanzi a un Messia risorto e dinanzi a compiti ritenuti troppo forti per noi. Si fugge meravigliati e impauriti dinanzi a eventi che ci sovrastano. Il cammino verso il sì a quel Risorto, e quindi alla vittoria sulla morte, conosce percorsi di paura del credere per non incorrere in nuove illusioni (Lc24,21) e in gioie senza fondamento (Lc 24,41). E si pensa a trafugamenti di cadavere (Gv 20,13), a apparizioni di fantasmi (Lc 24,27) e a gente allucinata; si pensa a tutto eccetto che all’essenziale: «Il crocifisso è risorto». Un essenziale suggerito al cuore di ciascuno dalla parola rivelatrice di un messaggero di Dio.
Marco è chiaro: la tomba vuota da sola genera il «Non è qui» con la variante delle molteplici supposizioni, unicamente la parola di Dio capace di persuadere il cuore introduce al «veramente è risorto». È questo il passaggio ultimo che le tre donne, e il noi che rappresentano, devono compiere.
Dal non capire che incute paura e fuga all’adesione al messaggio dell’inviato di Dio dai molti nomi. Marco lascia la cosa in sospeso a voler dire che continuazione del racconto è la risposta dei suoi uditori-lettori: credono con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti in base alla parola del giovane da lui registrata nel vangelo? Una resurrezione vera, non nell’ordine del probabile o del puramente metaforico, tipo è risorto nel ricordo dei suoi o nella sua causa portata avanti dai suoi; un evento dunque realmente accaduto a Gesù al cospetto del quale non resta che il linguaggio di un silenzio gravido di stupore e di adorazione (Mt 28,9.17). Evento che riguarda un Tu e in lui il tutto umano-cosmico: passato il sabato, il primo giorno della settimana, quella domenica dunque, un sole si leva dalla tenebra della morte (Mc16,2) per illuminare il giorno dell’uomo e l’ora della morte dell’uomo e del mondo.
Per questo è nato, per «dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc1,79). Il mattino del natale del Sole alla terra sfocia nel mattino del Sole al cielo, da dove continua a illuminare.
3. E dire che questo crocifisso è risorto equivale anche a «rifiutarci di accettare una storia in cui il carnefice abbia in eterno ragione.