Figli del vento
1. Cristianesimo è l’auto-rivelarsi e l’auto-comunicarsi di Dio in Cristo come amore senza argini per l’uomo fallito. Un Dio che in Cristo messo in croce china il capo verso chi lo uccide e verso il mondo intero consegnando-donando il suo Spirito (Gv19,30), l’amore nel momento stesso che viene spento raccoglie l’ultimo suo respiro e lo espande sul cosmo intero. Un Dio che nel Cristo risorto alita sui suoi il suo Spirito (Gv 20,22), ove Spirito sta per soffio e soffiare a trasmissione di ciò che si ha nel cuore e di ciò che sta a cuore.
Se l’accoglienza e la cura dell’altro il soffio sull’altro diventa indice di attenzione e di premura: pulirlo da ciò che lo sporca, alleviarlo da ciò che gli arreca dolore, ravvivarlo da ciò che lo fa morire e sradicarlo da ciò che gli impedisce di camminare. E’ il soffio di Gesù venuto non a spegnere ma a ridare vita ai condannati a morte (Mt 12,20). Non tutti i soffi si equivalgono, per questo è urgente il «discernimento degli spiriti» (1Cor 12,10) per tenere ciò che è buono (1 Ts 5,21), fondamentale per l’uomo infatti è sapere chi e che cosa lo sospinge e lo fa muovere, quale vento, quale aria, quale soffio. In breve quale spirito.
2. Questo spiega la centralità della Pentecoste nella esperienza cristiana, il puntualizzare il da dove, il tramite chi, il verso dove e il perché del dono dello Spirito o Soffio santo, da esso dipende la qualità dell’esistere umano personale e comunitario. Spirito, così in Giovanni, la cui origine è dal Padre (Gv 14,16;15,26); il cui tramite è Gesù il risorto (Gv 7,37-39; 14,26; 15,26; 16,7), per questo è venuto (Gv 1,33; 3,1-15); la cui destinazione è particolare, presso i discepoli (Gv 14,17), interiore, nei discepoli (Gv 14,17), e universale: «Il vento soffia dove vuole» (Gv 3,8); Spirito il cui perché, che ne verifica l’autenticità, è dato dai frutti che produce. Egli infatti è il «chiamato vicino», questo significa Paraclito, a suggerire-soffiare all’uomo il suo essere dimora (Gv 14,23) del «Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17), in un rapporto filiale (1 Gv 3,1-3) e di adorazione (Gv 4,24); e a suggerire-soffiare all’uomo il suo essere dimora del Figlio (Gv 14,23) «maestro e Signore» (Gv 13,13), in un rapporto amicale (Gv 15,15) nell’ascolto di una parola di cui lo Spirito stesso è memoria, annuncio e spiegazione al cuore personale e comunitario (Gv 14,26; 16,13-15). E ancora Spirito chiamato vicino a suggerire-soffiare all’uomo il suo essere dimora dell’uomo in un rapporto fraterno a misura di quello di Cristo: «Amatevi come io vi ho amati» (Gv 13,34). Nessuno è straniero e estraneo al cuore del discepolo, lo Spirito di comunione (2 Cor 13,13) genera creature di accoglienza ospitale dell’altro infranta ogni barriera divisoria. Spirito infine chiamato vicino a suggerire-soffiare all’uomo il suo essere dimora della vita eterna, egli è la mano di Dio che scrive in ogni corpo fragile e mortale l’ «Io sono la resurrezione della vita» del Cristo (Gv 11,25). Se figli anche «eredi di Dio, coeredi di Cristo» (Rm 8,17).
3. Pentecoste dunque come apice dell’azione di Dio a vantaggio dell’uomo, nel Risorto il dono di uno Spirito che introduce all’ordinarietà della vita, liturgicamente il «tempo ordinario», in maniera singolare. In compagnia di un Tu unico: «Non vi lascerò orfani, verrò da voi» (Gv 14,18) con il mio Dio; orientati da una parola unica, amatevi e amate con mente, cuore e orizzonti dilatati sapendo che non si esagera mai abbastanza; sostenuti da una speranza unica: «Dov’è , o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,55). Per questo cantiamo il «Vieni, Santo Spirito», il vento inviato dal Padre e soffiato dal Risorto a spazzare via l’uomo vecchio che è in noi e a dare forma all’uomo nuovo che dobbiamo essere noi: terra che adora, terra che ama, terra che spera. Figli del vento.