Da chi andremo?
1.Non tutti gli incontri si equivalgono, quello con Gesù è presentato dall’evangelista Giovanni come non esente da tratti estremamente spigolosi a motivo di pretese ritenute eccessive dai suoi uditori. Un prendere le distanze da lui e dl suo messaggio che investe la stessa cerchia dei discepoli: «Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga di Cafarnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,59-60). Essa scandalizza (Gv 6,61) gli stessi Dodici: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67). Pietra di inciampo è sicuramente la lettura che Gesù dà della sua messianicità. Il suo essere «re» non coincide con il modello di chi lo aveva riconosciuto tale a seguito della moltiplicazione dei pani (Gv 5,15), e neppure coincide con il modello che ne aveva Pilato (Gv 18,37-38). Gesù si rifiuta di divenire un governatore politico al soldo delle attese della liberazione dal giogo romano e di un pane garantito, e altresì si nega a ogni concordato con i poteri costituiti; il «braccio secolare» è non voluto come «strumento del Regno», e gloria e successo umani, i segni del potere, gli sono stranieri (Gv 5,41). E questo scandalizza i suoi stessi seguaci, li delude: «Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele» (Lc 24,21; cf At 1,6). Discepoli chiamati a una intelligenza altra di lui, «re» nel quale Dio dà avvio al sorgere di un mondo nuovo a partire dalla sua voluta e radicale disponibilità d’amore. Non solo, e qui l’inciampo raggiunge il culmine, ma egli stesso «è» questa disponibilità d’amore inviata dal Padre, narrata dal suo corpo e offerta alla nostra bocca in forma di pane e di vino. Si tratta dunque di nutrirsi di Lui-amore per divenire da folla anonima e manipolabile soggetti liberi che trasmettono amore, la sola via che apre a un mondo nella luce, vivo.
2.Prendere o lasciare. Re è quel coronato di spine che veste un mantello di porpora, il rosso dell’agape: «Ecco il vostro re» (Gv 19,14), «Ecco l’uomo» (Gv 19,5). La chiamata è a divenire uomini nobili, e tali lo sono i consegnati senza misura e eccezioni all’altro, pane al suo bisogno di vita. Questo insegna oggi Gesù nelle assemblee dei convocati a cena con lui, e ad ogni creatura, l’insegnamento di un venuto dal cielo che ritornerà al cielo compiuta la sua opera (Gv 6,62). L’opera affidatagli da Dio di non privare l’uomo di «parole che sono spirito e vita» Gv 6,63), spirito perché provengono da Dio che è Spirito (Gv 4,24) e vita perché il dire di Dio è sempre un bene-dire, finalizzato cioè a ricomporre in unità guarita e amica la non vita della irriconciliazione Dio-uomo-cosmo-eternità. Irriconciliazione opera di logiche di potere puramente mondano, questo significa il termine «carne» (Gv 6,63). Che fare? (Gv 6,28). Null’altro che rispondere alla provocazione di Gesù: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67), con quanto detto a nome di tutti da Simon Pietro: «Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69). Non tutti gli incontri si equivalgono, quello con Gesù è con un Tu conosciuto e creduto come il Santo, come il riflesso stesso della bontà di Dio; un Tu la cui compagnia e la cui presenza misteriosa in noi fa di noi figli e figlie della vita eterna, iniziati al proprio nome, amati, al proprio che fare, amare, al proprio destino, per sempre.
3.Da chi mai andremo? Dal «più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3) «senza più ne bellezza ne decoro» (Is 53,2) «per dare a te bellezza e decoro. Quale bellezza? Quale decoro? L’amore della carità, affinché tu possa correre amando e amare correndo… Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello» (S.Agostino).