Il corpo dato in pasto
1.Il segno della moltiplicazione dei pani raggiunge in Giovanni 6,51-58 la sua adempiuta spiegazione, il discorso sulla manna-pane lascia il posto al discorso pane-carne dell’agnello (Gv 1,29.36). Il Gesù pane che discende dal Padre è la Parola della vita fatta carne (Gv 1,14) ed è l’Agnello spezzato per l’uomo, in lui il Padre si rende presente e tramite lui comunica il suo amore al mondo (Gv 3,16). E’ in quel «Figlio dell’uomo» (Gv 6,53) al contempo di origine divina, Figlio di Dio, e di origine umana, figlio di Giuseppe (Gv 6,42), che Dio ha deciso di istaurare con il mondo uni rapporto decisamente unico rendendosi udibile, visibile e toccabile (1 Gv 1,1-4) in quell’umanissimo corpo, in quella carne fragile e mortale. Gesù non è dunque solo un maestro di sapienza venuto a sbriciolare il pane della sapienza alla tavola dell’uomo, ma è la stessa sapienza fatta carne-fatta sangue venuta a spezzare-versare se stessa a segno di una dedizione senza riserve, venuta a dare se stessa in pasto e in bevanda a quanti accolgono il suo invito a mensa. Il linguaggio non lascia adito a dubbi: la sua è una carne data da mangiare e il suo è un sangue dato da bere (Gv 6,51-52): «Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55). E i frutti di questo mangiare sono la comunione con lui: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in e con me e io in e con lui» (Gv 6,56); la vita eterna: «Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,58); e terzo l’ assimilazione a colui che viene mangiato e bevuto, il fare del proprio corpo un pane e un calice di vino per il mondo. Questo accade a chi si nutre del nato-morto-risorto-asceso che continua a ridiscendere in maniera ininterrotta e moltiplicata in «quel pane e in quel vino».
2.L’interpretazione eucaristica della moltiplicazione dei pani è chiaramente posta da questa pagina dello scritto giovanneo, pagina che affidandosi al linguaggio del mangiare e del bere intende sottolineare il tipo di rapporto che viene a stabilirsi tra Gesù e i suoi discepoli. Di «interiorità», il Vivente in un corpo di luce vuole trovare dimora nell’intimo dell’uomo, e di «metamorfosi», un dimorare per trasformare a sua immagine e somiglianza, come lui corpi per l’altro e per l’eternità. Parole dure per una folla che dalla contestazione (Gv 6,41) passa a discussioni litigiose (Gv 6,52) che non approdano al riconoscimento di Gesù come parola-pane-agnello di Dio per bocche affamate di sensi inediti e di eternità. Cibo che nell’oggi storico continua a consegnarsi a cena, la Cena del Signore.
3.Il nato in un corpo fragile e il risorto atteso in un corpo spirituale nel frattempo della storia viene seduto a mensa con i suoi porgendo ai suoi i suoi cibi: se stesso dome «perdono di Dio» dando avvio alla comunità dei perdonati resi capaci di perdonare; se stesso come «parola di Dio» dando avvio alla comunità dell’ascolto resa capace di sillabe di luce; e se stesso come «pane e vino di Dio».
Pane e vino sacramenti di una carne e di un sangue di amore fino allo strazio e segni di un corpo glorioso, il crocifisso è il risorto, che continua a offrirsi in pasto dando avvio alla comunità degli amati resi capaci di amare e dei mortali dischiusi all’immortalità. La moltiplicazione dei pani continua nelle celebrazioni eucaristiche o del rendimento di grazie, memoria e annuncio di un Tu consegnato che si consegna in pasto a tutti perchè nessuno si senta escluso dal suo amore e da quello di suo Padre, e perché nessuno escluda nessuno dal proprio orizzonte di amore. Eucaristie dunque come risveglio della coscienza alla consapevolezza che l’abitare altrimenti la terra è possibile nutrendosi di Cristo stesso per raccontarlo in un corpo ferito per amore nell’attesa di una resurrezione per amore.