La Chiesa ha sempre detto parole importanti sul lavoro. Nella società di oggi, per dei giovani, è giusto accettare di lavorare in condizioni di sfruttamento, con paghe basse e turni faticosi? Meglio lavorare comunque, o cercare condizioni migliori?Lettera firmataRisponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia moraleAncora nel giugno dello scorso anno, in occasione della 109° conferenza internazionale del lavoro, papa Francesco, nel solco del Magistero sociale della Chiesa, ha contestato per l’ennesima volta le disuguaglianze generate dal sistema economico nel mondo del lavoro, riproponendo il tema del giusto salario.Tale questione, nella Dottrina sociale della Chiesa, è incentrata sul concetto di «salario familiare» che, proposto per la prima volta da Quadragesimo anno nel 1931 (nn. 76-82), è considerato una via percorribile per superare la sproporzione nella ripartizione di reddito tra lavoratori e imprenditori e per consentire alla famiglia di esercitare il suo ruolo fondamentale nella strutturazione della realtà sociale.Nella convinzione che il lavoro debba svolgersi in condizioni tali da salvaguardare la vita familiare con le sue dinamiche, la Dottrina sociale ha elaborato e precisato gli elementi che compongono il «salario familiare» a misura dei cambiamenti che nel tempo si sono verificati nella mentalità e nei costumi sociali. Infatti, se in un primo tempo il Magistero sociale si è occupato del problema della durezza del lavoro infantile e femminile nei processi di industrializzazione (cf. Rerum novarum 33; Quadragesimo anno 72), in seguito tratterà l’esigenza che le donne non siano obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia (cf. Laborem exercens 19). Un altro aspetto riguarderà la conciliazione tra vita professionale e vita privata e l’importanza di un tempo di riposo per ricostituire le forze del lavoratore e per santificare il giorno del Signore (Rerum novarum 33), ma anche per rafforzare l’«unità domestica, che esige un frequente contatto e una serena convivenza vissuta tra i membri della famiglia» (Mater et Magistra 249) e, con l’affermarsi della dimensione del tempo libero, per poter «curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa» (Gaudium et spes 67).La remunerazione per il lavoro svolto, poi, deve poter soddisfare i bisogni immediati e attuali dei lavoratori, ma anche permettere di risparmiare (Francesco, 2021) per costituire una proprietà privata per la famiglia come margine di sicurezza per il futuro, specialmente quando non esistano sistemi di sicurezza sociale sufficienti. L’importanza di un minimo adeguato di proprietà è chiaramente motivata da Gaudium et spes quando ricorda che: «La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana… essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili» (n. 71).Sempre Gaudium et spes invita a non dimenticare mai che: «L’uomo quando lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona sé stesso… sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera», consegue «una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali … Pertanto questa è la norma dell’attività umana: che secondo il disegno di Dio e la sua volontà essa corrisponda al vero bene dell’umanità, e che permetta all’uomo … di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione» (n. 35).In questo quadro gli imprenditori ricoprono un ruolo fondamentale in quanto l’attività imprenditoriale è considerata una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti. Nei disegni di Dio le «capacità degli imprenditori … dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate» (Fratelli tutti, 123).Purtroppo le condizioni attuali del mondo del lavoro non sempre coincidono con questi orientamenti che, è opportuno ricordarlo, non impediscono un’imprenditoria efficiente e remunerativa (un esempio tra i tanti è il caso Olivetti nel secolo scorso), per cui di frequente tanti giovani, anche con buona volontà, adeguate capacità e preparazione professionale, disponibili a lasciare i propri luoghi di origine, si trovano nella condizione di dover accettare bassi stipendi e di vedersi sfruttati, senza, purtroppo, grandi possibilità di scelta.