Papa Francesco ha ribadito spesso il no della Chiesa alla produzione e al commercio di armi, e lo ha fatto anche dopo la strage avvenuta in Texas nei giorni scorsi. Il catechismo della Chiesa cattolica consente l’uso delle armi da parte delle autorità, per motivi di difesa. Qual è invece il pensiero della Chiesa sulla detenzione di armi (sempre per motivi di difesa) da parte di privati cittadini?Emma CasucciRisponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia moraleRiguardo alla detenzione privata di armi non si è sviluppata una riflessione sistematica e approfondita come nel caso delle armi da guerra. È tuttavia possibile ricavare alcuni principi estendendo all’ambito personale quanto affermato in altri ambiti. Un documento del Pontificio consiglio giustizia e pace, Il commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica del 1994, ci offre alcuni importanti punti di riferimento. Prima di tutto ricorda che «In un mondo segnato dal male e dal peccato, esiste il diritto alla legittima difesa mediante le armi. Questo diritto può diventare un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile. Soltanto questo diritto può giustificare il possesso o il trasferimento delle armi. Non è tuttavia un diritto assoluto; esso è accompagnato dal dovere di fare il possibile per ridurre al minimo, fino a eliminarle, le cause della violenza». L’ultima affermazione conduce a considerare il possesso personale di armi come una condizione che si oppone a eliminare le cause della violenza, stante il fatto che «il bene comune della famiglia» è garantito dallo Stato di diritto.Di seguito si precisa che: «Le armi non sono come gli altri beni (…) che possono essere scambiati sul mercato mondiale o interno. Certo, il possesso di armi può avere un effetto dissuasivo, ma (…) esiste un rapporto stretto e indissociabile tra le armi e la violenza. E in ragione di questo rapporto che le armi non possono in nessun caso essere trattate come semplici beni commerciabili». Detto altrimenti anche il commercio delle auto può porre questioni etiche, è certamente possibile uccidersi con l’auto, ma il legame tra l’auto e la morte non è intrinseco come quello che esiste tra le armi e la morte, per cui un’etica basata sul rispetto della vita umana deve necessariamente valutare con estremo rigore il possesso personale di armi.Si osserva inoltre che le dimensioni della provvista di armi da parte di uno Stato per garantirsi la possibilità di una eventuale legittima difesa non devono oltrepassare i limiti determinati dal «principio di sufficienza», in base al quale «ogni Stato può possedere unicamente le armi necessarie per assicurare la propria legittima difesa» in modo da non favorire «l’accumulazione eccessiva di armi o il loro trasferimento indiscriminato». Per cui l’esercizio del commercio di armi deve applicare il «principio di responsabilità» che non può essere aggirato invocando la legge del mercato della domanda e dell’offerta.Estendendo i due principi all’ambito personale e alla luce dell’illiceità per le persona privata, anche nel caso di legittima difesa, «di mirare direttamente a uccidere per difendere se stesso» in quanto «l’uccisione del malfattore spetta soltanto a colui al quale è affidata la cura del bene comune (…), alla pubblica autorità (…) a chi ha un incarico pubblico che a ciò lo autorizzi per il pubblico bene: com’è evidente per il soldato che combatte contro i nemici e per le guardie che affrontano i malviventi, i quali però peccano, se sono mossi da risentimenti personali» (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae), ne consegue che non è lecito possedere armi, fatti salvi i casi che non sono esclusi da tali considerazioni etiche.Ai principi richiamati si può aggiungere quanto affermato a partire dal 1975 dalla Conferenza episcopale Usa nel documento Handgun Violence: A Threat to Life e ripetutamente in successive prese di posizione che: «le pistole dovrebbero essere accessibili alle forze dell’ordine e ai militari e che i civili dovrebbero avere un accesso significativamente limitato se non addirittura zero accesso alle pistole per favorire una società migliore» (Responses to the Plague of Gun Violence, 2019). Zero accesso alle pistole preclude senza alcun dubbio il possesso di altre armi più potenti quali quelle utilizzate, ancora recentemente, per la strage di innocenti indifesi, sintomo di una società che preferisce stare «nelle tenebre e nell’ombra di morte» e rifiuta la visita «del sole che sorge dall’alto» (Lc 1,78-79).