Sangue e acqua dal costato di Cristo: un fenomeno fisiologico che diventa simbolo potente
Il Vangelo ci dice che dal costato di Gesù sgorgò «sangue ed acqua». Ci sono delle ragioni fisiche per questo fenomeno? E qual è invece il significato teologico?
Risponde don Stefano Tarocchi, docente di Sacra Scrittura
«Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il costato, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,31-34). Questa concentrazione dà un particolare risalto al giorno della morte di Gesù. L’evangelista dice infatti che era «grande» quel giorno: «un giorno speciale». Era così per il sovrapporsi di due date del calendario religioso: la vigilia del sabato e quella della Pasqua. Secondo Deuteronomio 21,22-23 non potevano rimanere appesi i cadaveri dei crocifissi oltre il tramonto: «se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu l’avrai messo a morte e appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità».
Di fatto Gesù è ormai morto, e per accertarlo, i soldati anziché compiere il gesto dello spezzare le gambe ai condannati a morte (crurifragio) per anticiparne la morte e togliere i loro corpi dalla croce, a proposito di Gesù il Vangelo aggiunge che «uno dei soldati colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua». Ora il fenomeno sembra essere naturalmente collegato alla morte di Gesù sulla croce, con tutti gli eventi che la precedono, compresa la flagellazione: un versamento di sangue all’interno dello spazio pleurico. I globuli rossi (il «sangue») si separano dal plasma sanguigno («acqua»). E l’elemento più pesante esce per primo: «subito ne uscì sangue e acqua». C’è un riferimento a questi simboli anche nella prima lettera di Giovanni: «egli è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che dà testimonianza, perché lo Spirito è la verità» (1 Gv 5,6.8). Ma gli interpreti, dato il contesto differente della lettera, danno un altro significato all’accostamento di due elementi.
Nella scena della croce, quello che è un fenomeno fisiologico colpisce in maniera particolare l’evangelista che aggiunge tre versetti: «chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero perché anche voi crediate. E poi l’evangelista fa riferimento alla Scrittura: «questo, infatti, avvenne perché si adempisse la Scrittura: non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della scrittura dice ancora: volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,35-37). Entrano così in gioco il rituale dell’agnello Pasquale, così come ritroviamo nella versione greca dei LXX del libro dell’Esodo (Es 12,10.46), ma anche nel Salmo 34,21: «Custodisce tutte le sue ossa: neppure uno sarà spezzato». E, infine, un testo profetico: «guarderanno a me, colui che hanno trafitto (Zaccaria 12,10). Di fatto, a Gesù è risparmiato l’atto di spezzare le gambe, così da far dipendere la sua morte non dalla decisione di un potere umano ma dalla fedeltà al disegno divino. È così che il Cristo morto in croce diventa fonte permanente della vita, anche a costo di stravolgere l’ordine reale che i soldati si trovano di fronte: prima vengono spezzate le gambe ai due condannati, e poi per ultimo, facendo un passo indietro sulla strada più logica, ci si rivolge a Gesù. L’accostamento del sangue e dell’acqua richiama quell’acqua viva che Gesù offre alla donna samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Giovanni evoca il sacramento della nascita mediante l’acqua e lo spirito, il battesimo, oppure il sacramento della comunione di vita attraverso la carne e il sangue di Gesù, quando mette sulle labbra di Gesù queste parole: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Tuttavia, soltanto dopo la morte di Gesù viene menzionato il sangue che esce dal suo fianco trafitto, e, insieme all’acqua, compone l’immagine dello spirito. Così l’evangelista si rivolge ai suoi lettori di ogni tempo invitando ad andare oltre l’apparenza per poter leggere in quell’evento un simbolo potente di fede, nell’atto che conclude la vita terrena del Signore. Del resto, il Vangelo di Giovanni si chiude con parole estremamente significative: «molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo il figlio di Dio e perché credendo abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31). E ancora: questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera» (Gv 21,24).