In casa mia abbiamo l’abitudine di dire una preghiera prima di mangiare. Adesso che i figli sono più grandi, a volte mi sembra che vivano questa cosa con imbarazzo, e mi dispiace metterli a disagio. Cosa conviene fare?Lettera firmataRisponde don Diego Pancaldo, docente di Teologia spiritualeConviene essere perseveranti in questa forma di preghiera, aiutando i figli a coglierne l’importanza ed il valore, senza mai scoraggiarsi di fronte alle difficoltà. I tempi che stiamo vivendo poi, in cui siamo impossibilitati a partecipare a liturgie e celebrazioni comunitarie, hanno messo ancora di più in evidenza quanto sia importante considerare la famiglia come «Chiesa domestica» in cui la vita di fede, la preghiera, l’incontro con la Parola di Dio possono trovare un terreno favorevole. La gioia di pregare, di benedire, di ringraziare, di amare, ha una forza contagiosa e rappresenta una testimonianza di fede a cui non si deve rinunciare. Nell’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia Papa Francesco afferma che «l’educazione dei figli dev’essere caratterizzata da un percorso di trasmissione della fede, che è reso difficile dallo stile di vita attuale…Ciò nonostante, la famiglia deve continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo» (n. 287). Sottolinea inoltre che «è fondamentale che i figli vedano in maniera concreta che per i loro genitori la preghiera è importante. Per questo i momenti di preghiera in famiglia e le espressioni della pietà popolare possono avere maggior forza evangelizzatrice di tutte le catechesi e i discorsi» (n. 288).Analogamente San Giovanni Paolo II in Familiaris consortio, ricordava tra le varie forme di preghiera in famiglia proprio la benedizione della mensa (n. 61), evidenziando che «elemento fondamentale e insostituibile dell’educazione alla preghiera è l’esempio concreto» (n. 60).La preghiera prima e dopo i pasti, che proviene dalla tradizione giudaica e monastica, esprime infatti nelle sue diverse formulazioni benedizione e gratitudine a Dio, gioia di condividere con gli altri il cibo ricevuto, richiamando l’attenzione su chi ne è privo. Il Benedizionale ricorda a tal proposito: «Quando si siedono a mensa e quando se ne alzano, i cristiani, sia che prendano cibo da soli, sia che lo facciano comunitariamente, rendono grazie alla provvidenza di Dio per il pane quotidiano che da Lui ricevono. Essi ricordano soprattutto che il Signore Gesù ha voluto unire il sacramento dell’Eucaristia con il rito della cena, e che , risorto dai morti, si è fatto riconoscere dai discepoli allo spezzare del pane. Il cristiano che si accosta alla mensa, riconoscendo nel cibo che ha davanti il segno della benedizione del Signore, non deve dimenticarsi dei poveri, che possono usufruire solo in minima parte di quel cibo di cui egli, forse, gode abbondantemente; perciò, per quanto gli è possibile, soccorre con la sua personale sobrietà il loro bisogno; anzi, li invita talvolta volentieri alla sua mensa in segno di fraternità, secondo le parole di Cristo riportate nel Vangelo (cfr. Lc 14, 13-14)» (nn.1123-1124). Un tale gesto può pertanto aiutare i figli a sviluppare uno sguardo contemplativo sulle cose di ogni giorno che, come osserva Rahner nell’omonimo libro, «sono come delle gocce d’acqua, nelle quali si rispecchia tutto il firmamento, come segni che ci additano realtà superiori, nunzi precorritori, che quasi accasciati dal peso del messaggio che portano, preannunciano l’infinità futura».In tale prospettiva il banchetto «ci parla ogni giorno, con voce lieve ma percepibile, del banchetto alla vita eterna». La preghiera prima e dopo i pasti aiuta pertanto a trovare Dio in tutte le cose, a vivere in maniera eucaristica, riconoscendo nel cibo quotidiano un dono del Signore di cui rendere grazie.