Come vivere la fede con entusiasmo? Accettare la «richiesta d’amicizia» di Dio
Salve, vorrei porvi una domanda molto concreta: è possibile vivere la vita di fede, in un certo qual modo, «sempre entusiasmati», in ogni momento della vita? Non perdere mai quella gioia, che ad esempio aveva la Chiesa primitiva quando ritrovò il Sepolcro vuoto e incontrò il Signore Gesù col suo Corpo Glorioso Risorto, pur senza nulla togliere a quelle che sono le prove e le difficoltà della vita (ovviamente, altrimenti saremmo degli esaltati)? Insomma senza mai annoiarsi e dimenticare quanto Dio ci ama? Cosa si deve fare per rinnovare perennemente questo entusiasmo? Fare continua esperienza della «novità» della Grazia divina? In ogni momento? Può sembrare una domanda stupida, ma credo che sia importante. Grazie in anticipo per la risposta, auguri per la vostra attività.
Valentino De Santis
La domanda posta dal lettore assume un particolare rilievo per la vita spirituale del cristiano, chiamato ad accogliere e ad irradiare la gioia della fede, la santa gioia pasquale. Questa niente ha a che fare con un entusiasmo esaltato, eccessivo; si caratterizza invece come intima letizia, sobria, misurata, proveniente dall’interiorità più profonda, e che, come scrive Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali, «chiama e attrae alle cose celesti e alla salvezza della propria anima, quietandola e pacificandola nel suo Creatore e Signore» (E.S. 316).
Questa gioia, frutto dello Spirito Santo, si afferma anche nelle situazioni più difficili della vita, come afferma la testimonianza dei santi, donando una «sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani». (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate 125).
Questa gioia è richiamata più volte, specialmente negli ultimi anni, dal Magistero della Chiesa. Paolo VI nell’Esortazione apostolica Gaudete in Domino invitava a scoprirne la radice nel rinnovamento interiore e nella riconciliazione con Cristo. Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ha evidenziato che questa gioia nasce dall’incontro con Gesù, sottolineando che «coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo nasce e rinasce la gioia».
Questa gioia è l’antidoto alla «tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (Evangelii Gaudium, 2). Questa è infatti la condizione di un cuore chiuso alle esigenze dei poveri e alla voce di Dio. Il papa esorta pertanto a compiere «anche un piccolo passo» per andare incontro a Colui che è risorto e che con il suo amore sempre ci sorprende.
Benedetto XVI si domandava poi, commentando l’invito paolino a rallegrarsi sempre nel Signore, se è possibile comandare la gioia, giungendo ad una risposta positiva: «Se l’amato, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che Colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo la gioia che è più grande di ogni sofferenza» (Discorso dopo la celebrazione dell’Ora Terza del 3 ottobre 2005). Questo è davvero il segreto per rimanere nella gioia in ogni circostanza. O ravvivare costantemente la certezza di questa vicinanza attraverso la preghiera, la vita sacramentale, l’esercizio delle virtù teologali, il servizio disinteressato ai più piccoli. Si tratta di non rimuovere la «richiesta d’amicizia» che il Signore ci rivolge assediando il nostro cuore con la sua tenerezza «minuto per minuto».
Se la gioia di Dio consiste nel donarsi amando, allora l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, può sperimentare la gioia solo attraverso il dono disinteressato di sé. La gioia infatti si vive e si rafforza nella comunione, nell’amore fraterno, «che ci rende capaci di gioire del bene degli altri» (Gaudete et Exsultate, 128).
Diego Pancaldo