Perché a Gesù sulla croce fu offerto da bere l’aceto?
Nel racconto della Passione, in tutti i Vangeli (seppure con particolari diversi) si dice che a Gesù venne offerto aceto da bere. Non ho mai capito bene il motivo: era un gesto di derisione, oppure come ho sentito dire da alcuni commentatori, era l’usanza dell’epoca usare l’aceto per dissetare e lenire il dolore?
Giuseppe Bruni
In tutti i quattro i Vangeli si fa riferimento all’episodio accennato dal lettore. Probabilmente si tratta di un soldato, fra quelli presenti ai piedi della croce, a dare l’aceto a Gesù. Accade così nel racconto di Luca: «anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (Lc 23,36-37). Tuttavia, le parole che il vangelo di Marco mette sulla bocca di chi offre l’aceto a Gesù sulla croce, come vedremo più avanti, si adattano soltanto a un giudeo, l’unico che può scambiare l’invocazione a Dio con il profeta Elia.
Così leggiamo: «alle tre, Gesù gridò a gran voce: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere»» (Mc 15,34-36).
Anche il vangelo di Giovanni racconta il medesimo elemento «dopo questo [l’affidamento della madre al discepolo prediletto, e di questi alla madre], Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete»». vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,28-30).
Così invece leggiamo in Matteo: «Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!»» (Mt 27,47-49).
Sullo sfondo c’è probabilmente il testo del salmo 69: «l’insulto ha spezzato il mio cuore e mi sento venir meno. Mi aspettavo compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati. Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,21-22). Un riferimento analogo si trova anche negli inni di Qumran: «hanno tolto la bevanda della sapienza agli assetati, alla loro sete hanno fatto bere aceto, per guardare il loro errore, per comportarsi da folli nelle loro feste, perché restino intrappolati nelle loro reti» (1 QH 4,11).
Il gesto di dare l’aceto ad un condannato a morte sulla croce, infatti, non era un atto di misericordia: potrebbe essere così descritto ciò che accade – ma nel solo vangelo di Marco – nel momento precedente la crocifissione, dove si fa riferimento ad un’altra bevanda: «condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese» (Mc 15,22-23). Quest’ultima era invece una bevanda inebriante, fatta per mitigare il dolore: ma Gesù la rifiuta del tutto.
L’aceto, che gli viene dato nel punto estremo della sua permanenza sulla croce avanti la morte, doveva servire solo a prolungare l’agonia di Gesù: era quindi l’estrema offesa di quanti anche sotto la croce rifiutavano il Cristo. Il racconto del vangelo di Marco muove dall’improbabile fraintendimento del grido di Gesù (il Salmo 21: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?») con un’invocazione al profeta Elia. Così Mc 15,36: «vediamo se viene Elia a farlo scendere»); e Mt 27,47.49: «Costui chiama Elia»; «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Così questo estremo momento drammatico della vita di Gesù si lega al gesto di offrire il vino «acuto» (è il significato letterale del termine usato), che noi non a caso chiamiamo «aceto».
Sembra che colui che offre aceto a Gesù voglia attendere la venuta di Elia e – dal suo punto di vista – l’eclatante miracolo della discesa dalla croce, che avrebbe vanificato il senso dell’intera passione.
Di fatto, il grido di Gesù che muore – quasi certamente simbolico, dato che il condannato alla crocifissione moriva soffocato – non si articola in parole, come invece la precedente drammatica invocazione del Salmo 21: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Di fronte a quanti partecipano alla passione con i loro rituali estranianti solo il centurione può dire «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). È la professione di fede, che il rappresentante della dominatrice potenza romana, svela la pienezza del connubio tra l’umanità e la divinità del Cristo.
Stefano Tarocchi