Quali sono le «feste di precetto»?
Il mio parroco mi ha rimproverata perché non ero stata alla Messa nel giorno di San Giuseppe, dicendo che è una festa di precetto, in cui c’è l’obbligo di partecipare alla celebrazione eucaristica. Da tempo però il 19 marzo non è più festa civile, ma un normale giorno lavorativo. Lo stesso vale per la festa dell’Annunciazione, il 25 marzo, che in antichità segnava in diverse città toscane l’inizio dell’anno ed è ancora una festa molto sentita dalle nostre parti, ma che quest’anno cade di lunedì. Mi chedevo quindi quali sono in effetti le feste «di precetto», e quali siano in questi casi gli obblighi per chi, ad esempio, ha impegni di lavoro che rendono difficile la partecipazione alla Messa.
Anna Ghirelli
La lettera inviata dalla nostra lettrice alla redazione di Toscana Oggi mi ha profondamente meravigliato, in quanto dal 1977 la festa di San Giuseppe non è più tra quelle che devono osservarsi quali giorni di «precetto festivo».
A questo proposito il Codice di Diritto Canonico recita al Canone 1246: §1. Il giorno di domenica in cui si celebra il mistero pasquale, per la tradizione apostolica deve essere osservato in tutta la Chiesa come il primordiale giorno festivo di precetto. Ugualmente devono essere osservati i giorni del Natale del Signore Nostro Gesù Cristo, dell’Epifania, dell’Ascensione e del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, della Santa Madre di Dio Maria, della sua Immacolata Concezione e Assunzione, di san Giuseppe, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e infine di tutti i Santi.
§2. Tuttavia la Conferenza Episcopale può, previa approvazione della Sede Apostolica, abolire o trasferire alla domenica alcuni giorni festivi di precetto.
Il canone 1246 nelle sue due componenti è molto preciso nell’indicare non solo i giorni di osservanza festiva, ma anche la facoltà concessa alle conferenze episcopali nazionali di determinare con precisione quali siano i giorni in cui la comunità dei fedeli è tenuta a partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia.
La storia della Chiesa latina riconosce che il precetto principale si riferisce alla celebrazione della domenica, la festa del popolo cristiano. Domenica nella quale si celebra il Mistero grande di Cristo Signore Risorto, asceso alla Destra del Padre, che invia alla sua Chiesa lo Spirito Santo. Giorno, dunque, in cui la comunità dei fedeli si astiene dalla solita routine quotidiana per vivere la gioia della salvezza, cui partecipa nella celebrazione dei Santi Misteri. Giorno che di per sé non dovrebbe essere soppresso da nessun’altra celebrazione soprattutto in quel tempo comunemente detto «ordinario».
Nel Medioevo e poi fino al secolo XVII le feste con obbligo di Messa erano quarantacinque. Urbano VIII con la bolla Universa per orbem redige un nuovo calendario che riduce le feste di precetto a trentacinque e vieta l’inserimento di nuove celebrazioni festive da parte dei vescovi diocesani.
Oltre alle domeniche, era stabilito il precetto festivo per il Natale (25 dicembre), la Circoncisione del Signore (1º gennaio), l’Epifania (6 gennaio), la Pasqua con i due giorni seguenti, la Pentecoste con i due giorni seguenti, l’Ascensione, il Corpus Domini, l’Invenzione della Santa Croce (3 maggio), la Purificazione della Beata Vergine Maria (2 febbraio), l’Annunciazione (25 marzo), l’Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto), la Natività della Beata Vergine Maria (8 settembre), la Dedicazione di San Michele (29 settembre), la Natività di San Giovanni Battista (24 giugno), tutte le feste degli apostoli: santi Pietro e Paolo (29 giugno), sant’Andrea (30 novembre), san Giovanni Evangelista (27 dicembre), san Giacomo (25 luglio), san Tommaso (allora il 21 dicembre), santi Filippo e Giacomo (1º maggio), san Bartolomeo (24 agosto), san Matteo (21 settembre), santi Simone e Giuda (28 ottobre), san Mattia (allora il 24 febbraio) e ancora: i santi Innocenti (28 dicembre), san Lorenzo (10 agosto), san Silvestro (31 dicembre), san Giuseppe (19 marzo), sant’Anna (26 luglio), Tutti i Santi (1º novembre), santo Stefano (26 dicembre). Era pure di precetto la festa di uno dei patroni principali di regni, province, città e castelli. Nel 1708 papa Clemente XI aggiunse l’Immacolata Concezione.
Un numero così esorbitante di feste da aggiungersi all’obbligo domenicale preoccupava molti vescovi che da ogni parte di Europa chiedevano alla Sede Apostolica di rivedere il calendario. Fu Benedetto XIV a prendere in considerazione la seria richiesta dell’episcopato europeo che voleva un incremento dei giorni lavorativi; pertanto il papa, pur no abolendo universalmente i giorni di obbligo, concesse per molte parti dell’Europa di lavorare anche in alcune solennità che richiedevano l’osservanza del precetto.
La legislazione canonica restò immutata fino all’anno 1911 quando papa Pio X ridusse fino ad otto le feste di precetto e nel 1917 il Codice di Diritto Canonico determinò la lista di feste da osservare, conservando però l’obbligo di celebrare la missa pro populo anche per le feste cui non si applicava più il precetto.
Tutto restò invariato fino a quando la legge dello stato italiano del marzo 1977 stabilì che alcune feste di precetto non fossero più riconosciute quali feste anche civili: «Disposizioni in materia di giorni festivi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 marzo 1977, n. 63. 1. I seguenti giorni cessano di essere considerati festivi agli effetti civili: Epifania; S. Giuseppe; Ascensione; Corpus Domini; SS. Apostoli Pietro e Paolo. A decorrere dal 1977 la celebrazione della festa nazionale della Repubblica e quella della festa dell’Unità nazionale hanno luogo rispettivamente nella prima domenica di giugno e nella prima domenica di novembre. Cessano pertanto di essere considerati festivi i giorni 2 giugno e 4 novembre. 2. Le solennità civili previste dalla legge 27 maggio 1949, n. 260, e dalla legge 4 marzo 1958, n. 132, non determinano riduzioni dell’orario di lavoro negli uffici pubblici. È fatto divieto di consentire negli uffici pubblici riduzioni dell’orario di lavoro che non siano autorizzate da norme di legge».
Papa Paolo VI, sulle orme dei suoi predecessori e con lo stesso spirito che da Urbano VIII aveva spinto a ridurre i giorni di obbligo, accettò le disposizioni dello stato italiano e spostò alla domenica tra il 2 e l’8 gennaio la solennità dell’Epifania, poi ricollocata il 6 gennaio per favorire l’inveterata tradizione popolare; l’Ascensione del Signore e il Corpus Domini furono spostati alla domenica successiva. Ne consegue che oggi in Italia, per disposizione della Sede Apostolica le feste di precetto sono: Immacolata Concezione, Natale, Maria SS. Madre di Dio (1 gennaio), Epifania, Assunzione e Tutti i Santi, celebrando ancora di domenica l’Ascensione e il Corpus Domini.
Le altre feste soppresse, cioè san Giuseppe e i santi Apostoli Pietro e Paolo, pur restando in grandissima considerazione nel popolo di Dio, non obbligano più all’osservanza festiva. Pastoralmente, proprio per educare le nuove generazioni che non hanno conosciuto il precetto, si deve dare rilievo a questi momenti particolarmente significativi per la comunità cristiana, ma non si deve porre un obbligo che la conferenza episcopale su indicazione della Sede Apostolica non riconosce più.
Di questo non c’è neppure da scandalizzarsi come se la Chiesa del dopo Concilio si fosse posta nell’intenzione di distruggere la tradizione, perché come detto sopra, grandi papi, accogliendo le istanze dei vescovi, hanno volutamente soppresso molte celebrazioni festive, avendo a cuore non solo la festa ma anche il lavoro del popolo di Dio.
Aggiungo poi un’ultima osservazione ancora una volta di tipo pastorale. Forse dovremmo cercare di offrire motivazioni più forti dell’«obbligo» per la partecipazione all’Eucaristia, tenendo conto che questa è il culmine e la fonte della vita cristiana secondo l’indicazione di Sacrosanctum Concilium 9 e 10.
Lamberto Crociani