La vita di clausura: una valida scelta per il bene personale e per il bene di tutti
Per confutare la mia affermazione che la clausura non trova fondamento nel Vangelo, una persona mi ha citato la risposta che padre Athos Turchi dà ad un lettore su Toscana Oggi del 20 novembre 2014. Padre Athos Turchi scrive: «Nella Chiesa, perché funzioni bene, ogni membro, ogni persona o ordine o società o congregazione ha il suo compito e ruolo: c’è chi prega, chi predica, di studia, chi è in missione, chi nel settore charitas, chi comanda, chi obbedisce…».
In realtà, nella Chiesa c’è chi studia e prega, chi predica e prega, chi è in missione e prega, e via di seguito. Ma perché ci deve essere qualcuno che prega chiuso per tutta l’esistenza tra quattro mura? Togliere dalla Chiesa chi studia e prega, sarebbe un danno per la Chiesa. Togliere dalla Chiesa chi comanda e prega, sarebbe un danno per la Chiesa. Non funzionerebbe bene, la Chiesa. Ma non è possibile dimostrare che la Chiesa non funzionerebbe bene (sto al concetto espresso da padre Athos sul buon funzionamento), se non ci fosse chi prega chiuso per l’intera esistenza tra quattro mura.
Padre Athos continua: «Le monache fanno parte della funzione della preghiera, mantengono continuamente la relazione che il corpo deve avere col Capo, col Cristo, quel colloquio continuo che Gesù aveva col Padre suo». Ora, Gesù il colloquio continuo col Padre suo lo aveva quando era solo o quando era in compagnia, lo aveva predicando, mangiando, camminando, facendo mille altre cose, magari anche segando e piallando il legno, prima del periodo della predicazione. Le monache che pregano, però, poiché rischiano di distrarsi e di far torto al Signore (o agli uomini della Chiesa?) è meglio stiano richiuse per sempre tra quattro mura. È una maniera di ragionare irrispettosa verso le monache.
Scrive ancora Athos Turchi: «Le monache, così facendo, sono forse fuori dell’annuncio del Regno di Dio? Non direi. Un uomo che vuol ben fare un lavoro bisogna che non perda di vista il progetto da realizzare, ebbene le monache sono nella Chiesa questa continua attenzione al progetto di Dio». Bene, stando a questo ragionamento, chi è in missione dovrebbe restare per tutta l’esistenza in missione fino alla morte, senza mai tornare in famiglia; chi comanda, dovrebbe comandare stando rinchiuso per tutta la vita tra quattro mura. Un ricercatore per far bene il suo lavoro, e non perdere di vista il progetto da realizzare, dovrebbe stare chiuso in un laboratorio per tutta la sua esistenza. Aberrante.
«Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (At. 1,14). Maria e le donne tappate in casa per tutta la vita? Non sembra. A mio parere, persino la parola «clausura» è brutta e poco evangelica.
Renato Pierri
La clausura non è un dogma di fede, per cui chi vi aderisce starà al chiuso, chi non l’approva se ne starà fuori, senza pericolo di dannazione. Dio salva l’umanità grazie alla morte e resurrezione del Figlio, e non con altre cose.
La salvezza ogni persona l’accoglie quando accetta il battesimo. Il battesimo immette nel corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Dice San Paolo che il Corpo Mistico si avvale di molte membra, e nella lettera ai Corinzi elenca i doni dello Spirito che evidenziano i compiti diversi presenti nella chiesa. I secoli hanno ampliato e migliorato ulteriori e diversi compiti del corpo mistico.
La clausura è tardiva, significa che la Chiesa andava avanti anche senza suore di clausura. Ma il fatto che sia comparsa e che molte vocazioni hanno aderito a quella forma di appartenenza alla Chiesa rivela la sua validità.
Un domani che non vi fossero più vocazioni o che quel tipo di vita non dovesse essere più utile alla salvezza dell’uomo, certamente potrà anche sparire senza danno di nessuno, come sono spariti tanti ordini religiosi medioevali che fecero grande la Chiesa a suo tempo e poi si sono dissolti terminato il loro compito. Perciò la clausura è da ritenere una valida scelta di vita cristiana personale e per il bene di tutti, finché non se ne danno ragioni diverse.
Athos Turchi