Se i nonni chiedono ai genitori (non credenti) di battezzare il bambino
Io e mia moglie ci siamo sposati circa 2 anni fa in Comune, in quanto non credenti. Dopo un anno abbiamo avuto un bellissimo bambino. I miei vorrebbero che il piccolo fosse battezzato, ma in nome di cosa? Ho cercato di spiegare che non lo faremo in quanto non credenti, e per di più che questa è una scelta molto personale che deve riguardare solo i genitori. I miei si sono offesi, senza capire che nella vita di un bambino contano gli affetti, l’amore e la buona educazione. In questo modo perderanno momenti della vita del bambino, in nome di cosa? Soltanto di una loro fissazione? Se mi potete rispondere sarei molto grato.
Lettera firmata
La questione messa in gioco dal lettore mostra apertamente una delle più diffuse tensioni che si registrano nei giorni che attraversiamo. La compattezza culturale e religiosa del nostro paese si è dissolta. All’interno del medesimo nucleo familiare persone unite dai più profondi legami parentali vivono scelte molto differenti nell’ambito religioso, a volte accettandone la realtà, a volte vivendola con tensioni estreme.
Nel caso qui proposto il rifiuto del matrimonio religioso e del battesimo del figlio ha portato ad una spaccatura nella relazione fra il genitore del bambino e i nonni paterni. Una risposta su queste pagine non potrà certo risolvere il dissidio, può solo recare un po’ di chiarezza sui termini in gioco, da un punto di vista teologico, sperando che il tempo e l’affetto, che certamente rimane sotto ogni contrasto, possano pacificare ogni relazione in gioco.
Certamente per tanto tempo, la preoccupazione della Chiesa latina si è rivolta verso una celebrazione del battesimo dei bambini che offrisse loro prima possibile quella salvezza che accogliamo come dono nel sacramento. L’indicazione rituale era proprio indicata in modo esemplare dalle parole quam primum, quanto prima possibile.
Oggi, come afferma un recente studio della Commissione Teologica Internazionale, «da un punto di vista teologico, lo sviluppo di una teologia della speranza e di una ecclesiologia della comunione, insieme al riconoscimento della grandezza della misericordia divina, mettono in discussione un’interpretazione eccessivamente restrittiva della salvezza. Di fatto la volontà salvifica universale di Dio e l’altrettanto universale mediazione di Cristo fanno ritenere inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia» (Commissione Teologica Internazionale, La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza battesimo, 19 aprile 2007, n. 2). Non possiamo, quindi, dubitare della sorte dei bambini morti senza aver ricevuto il battesimo.
D’altra parte, i sacramenti dell’Iniziazione cristiana non solo inseriscono la persona in Cristo, facendola partecipare del suo stesso Spirito, ma inseriscono in un preciso cammino ecclesiale, affidato prima di tutto alla responsabilità dei genitori. In termini più teologici, i bambini ricevono il battesimo nella fede della Chiesa, professata dai genitori. Con l’espressione «fede della Chiesa» si indica che il battesimo ha sempre lo stesso valore, a prescindere dalla consapevolezza di chi lo riceve, sia un adulto che si converte al Vangelo o un bambino portato al fonte dai genitori: la persona è unita a Gesù Cristo e in Cristo si apre alla pienezza dell’essere «figlio di Dio» per opera dello Spirito santo (cf 1Gv 3,1-2). Ma questa fede piena è professata, cioè fatta propria, da ciascuno di noi in modalità e intensità diverse, secondo la risposta personale che diamo al dono ricevuto.
Risiede qui la responsabilità primaria dei genitori: un compito da assolvere nella libertà delle loro decisioni. E qualunque siano, vanno rispettate.
Alla luce della fede, noi sappiamo che Dio sa aspettare. Spesse volte ci sfuggono i percorsi e gli intrecci dei modi con cui egli continua a parlare al cuore di ogni uomo, accettandone i rifiuti, ma non desistendo mai dal suo farsi presente, in maniera più o meno nascosta. Se da una parte la decisione dei genitori del bambino deve essere rispettata, dall’altra i nonni saranno una testimonianza cristiana mostrando un affetto capace di andare oltre le divergenze di pensiero. La vita sacramentale resta fondamentale per la fede cristiana: è un dono singolare per il quale siamo tenuti a ringraziare ogni giorno il Signore con riconoscenza sincera. Ma già i grandi teologi medievali ripetevano con una frase efficace che «Dio non si è legato le mani ai sacramenti». I modi misteriosi con cui il Signore tocca i cuori e li spinge a ricambiare il suo dono d’amore sono imperscrutabili. E fra questi ci potrebbe essere anche una presenza amorevole e paziente vicino ai propri cari che non credono. Dio non si è legato le mani ai sacramenti, ma non smette mai di farsi presente attraverso gli uomini che credono e amano.
Valerio Mauro