Spesso la prima Comunione rischia di essere anche… l’ultima
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Nella mia parrocchia ci sono state da poco le prime comunioni. Ho provato un po’ di tristezza a pensare che di tutti quei bambini, in pochissimi continueranno a fare la comunione: per molti di loro resterà un vago ricordo di una cosa legata all’infanzia. Mi chiedo: non sarebbe meglio dare la prima Comunione più avanti, a persone più consapevoli e capaci di rendersi conto di quello che fanno?
Lettera firmata
La domanda del lettore mette in campo più questioni di quella esplicita alla quale fa riferimento.
Da una parte, l’ipotesi offerta di un rinvio nell’età della prima comunione viene legata ad una maggiore consapevolezza nell’avvicinarsi al sacramento dell’Eucaristia. D’altra parte, il cruccio da cui è nata la domanda risiede sull’abbandono da parte di molti nei confronti della stessa partecipazione domenicale all’Eucaristia. Occorre ricordare, prima di tutto, che una maggiore consapevolezza nei gesti della fede certamente aiuta ma non è una sicurezza di fedeltà alla vita sacramentale. Proviamo, allora, a riorganizzare il discorso per rispondere nel miglior modo possibile al quesito del lettore.
Al fondamento di tutto vi è il duplice approccio alla vita sacramentale. Nella grande Tradizione della Chiesa vi è la consapevolezza di una preparazione previa ai sacramenti, seguita da un approfondimento del dono ricevuto e vissuto. Il paradigma più limpido è il processo dell’Iniziazione cristiana di un adulto, al quale, una volta pervenuto alla fede nel Signore Gesù, morto e risorto per gli uomini, la Chiesa propone il cammino del catecumenato prima di ricevere i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia. In seguito a questa unica celebrazione la Chiesa conduce per mano il neofita ad una prima consapevolezza del dono ricevuto: dall’antichità si chiamano istruzioni mistagogiche, cioè di introduzione al «mistero» ricevuto, i tre riti che uniscono per la prima volta al mistero pasquale di Cristo.
Tuttavia, la grandezza dei doni sacramentali di Dio è tale da lasciare sempre spazio ad un’azione della grazia che prescinde dalla nostra comprensione. Il paradigma principale di questo aspetto è l’antichissimo uso di battezzare i bambini sulla richiesta dei loro genitori. Il bambino non è certamente consapevole di quanto riceve, eppure il suo Battesimo ha il medesimo valore di quando viene ricevuto da un adulto che consapevolmente aderisce alla fede. Non spetta in questa sede riflettere su quale prassi sia più adeguata o corrispondete ai nostri tempo. Gli esempi proposti servono solo per inquadrare il problema che sta a cuore al lettore: qual è l’età migliore per ricevere per la prima volta il sacramento dell’Eucaristia?
La primitiva prassi della Chiesa, a tutt’oggi in uso presso le Chiese di rito orientale, prevedeva che i tre sacramenti dell’Iniziazione cristiana fossero celebrati in un unico rito, tanto che difficilmente si potrebbe pensare ad una loro distinzione in quel contesto storico e liturgico: attraverso un unico rito, quello del «santo Battesimo» la persona viene inserita in Cristo, riceve il dono del suo Spirito e partecipa della sua vita nutrendosi del suo Corpo e Sangue. Motivazioni storiche hanno portato nella Chiesa latina a separare i riti facendo entrare in gioco l’età migliore per ricevere i singoli sacramenti. Assodato che il Battesimo si dà appena possibile, la Confermazione e l’Eucaristia vengono rinviate ad una età adeguata, che un po’ empiricamente verrà indicata come «età della discrezione».
Per la Confermazione si mantenne l’idea di non rinviare troppo il dono dello Spirito e fino a poco tempo fa rimase verso i sette anni. Per l’Eucaristia l’età era rinviata a quando i bambini fossero capaci di distinguere il pane ordinario da quello eucaristico e fossero capaci di mantenere un adeguato comportamento durante la celebrazione della Messa. L’età fissata era quindi quella dai dieci ai tredici, quattordici anni. Nel 1910 con il decreto Quam singulari la Sacra Congregazione dei Sacramenti abbassa l’età della discrezione per ricevere la prima comunione a sette anni.
Da allora per preparare meglio i bambini si sono sviluppati vari percorsi di catechismo e l’età consueta, almeno in Italia, è verso i dieci anni. L’esame storico condotto fin qua può non aver soddisfatto del tutto il lettore, ma offre una risposta che va oltre la domanda. Il vero problema non è l’età in cui si riceve la prima comunione, ma il cammino di appartenenza ecclesiale che viene offerto ai bambini e alle loro famiglie. Non si sarà mai del tutto consapevoli della grandezza del dono dell’Eucaristia e la sua grazia singolare nutre la nostra vita, ne rafforza i passi lungo il cammino della vita. L’abbandono della vita sacramentale resta sempre una possibilità dell’uomo che Dio ha voluto libero anche davanti ai suoi doni. La fatica e la missione della comunità ecclesiale dovrebbero essere dirette a suscitare una fede incarnata nella vita e capace di restare fedele alle promesse fatte. Lungo i secoli la Chiesa ha sempre cercato vie per mantenersi fedele alla missione affidatale da Dio e all’uomo nel suo contesto storico. Certamente lo Spirito continuerà ad aiutarci in questo cammino, nutriti sempre dal pane di vita, piccoli e adulti, forti e deboli.
Valerio Mauro