La storia di Davide, peccatore e santo
Sono rimasta molto impressionata ascoltando, a un incontro, la storia del Re Davide: secondo la Bibbia, ha mandato a morire l’amico Uria per sposare la moglie di lui, Betsabea. Un peccato gravissimo! Eppure Davide è venerato anche come santo dalla Chiesa Cattolica, e dalla sua discendenza è nato Gesù: evidentemente la misericordia e il perdono di Dio possono giungere a vette inimmaginabili.
Carolina Bastiani
Più che una domanda quella della nostra lettrice è una constatazione con la quale non si può non convenire: «la misericordia e il perdono di Dio possono giungere a vette inimmaginabili».
Davide è una delle figure bibliche che meglio mettono in evidenza l’elezione di Dio e il suo amore gratuito e misericordioso: da sconosciuto pastore Dio lo sceglie per farne il re del suo popolo (cf. 1Sam 6,1-13) e gli promette che dalla sua discendenza sarebbe sorto il Messia (cf. 2Sam 7,16).
La santità di Davide si fonda sulla elezione divina e sulla sua risposta di fede a questa elezione.
Il peccato di Davide certo è stato grande e orribile, ma ancora più grande è stata la sua fede che l’ho reso capace di riconoscere la misericordia infinita del Signore e di affidarsi a lui, divenendo così, come Abramo, «saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Smisurato poi, al punto di apparire esagerato, è stato l’amore per il Signore dimostro da Davide in numerose circostanze: un amore qualificato in particolare dall’umiltà e dall’umiliazione (cf 2Sam 6,16-22).
Fede, speranza, amore, umiltà e capacità di accettare l’umiliazione hanno condotto Davide a riconoscere e accogliere la grazia del Signore che lo ha reso, nonostante il suo peccato, santo, profeta e figura del futuro Messia.
Mi pare opportuno riportare, a questo proposito, la bella omelia pronunciata da papa Francesco nella cappella di Santa Marta il 1° febbraio 2016, proprio in riferimento alla singolare santità di Davide a commento del testo di 2Sam 15,13-14.30; 16,5-13, e sintetizzata secondo la consuetudine da L’Osservatore romano (1/2 febbraio 2016): «Nella prima lettura si continua con la storia del re Davide, il santo re Davide», ha notato subito il Papa (…). È una storia, ha spiegato, «incominciata quando Samuele andò a casa di suo padre e Davide viene unto re», pur essendo ancora un ragazzino. Poi «è cresciuto, ha avuto le sue difficoltà, ma sempre era stato un uomo rispettoso del re che non gli voleva bene». Il sovrano, infatti, «sapeva che lui sarebbe stato il suo successore». E «alla fine Davide riuscì a unificare il regno d’Israele: tutti insieme a lui». Però «si sentì sicuro e incominciò a indebolirsi lo zelo per la casa del Signore».
Proprio «in quel momento (…) Davide è a un passo dall’entrare nella corruzione», ha continuato Francesco. Così «il santo re Davide, peccatore ma santo, diviene corrotto». Ma ecco che «il profeta Nathan, inviato da Dio», gli fa «capire che cosa brutta aveva fatto, cosa cattiva: perché un corrotto non se ne rende conto. Ci vuole una grazia speciale per cambiare il cuore di un corrotto». Così «Davide, che aveva ancora il cuore nobile», riconosce di aver peccato, «riconosce la sua colpa». E cosa dice Nathan?. Ecco le sue parole: «Il Signore perdona il tuo peccato, ma la corruzione che tu hai seminato crescerà. Tu hai ucciso un innocente per coprire un adulterio. La spada non si allontanerà mai dalla tua casa». Dunque, ha spiegato il Papa, «Dio perdona il peccato, Davide si converte ma le ferite di una corruzione difficilmente guariscono. Lo vediamo in tante parti del mondo».
È a questo punto della storia di Davide, ha affermato Francesco, che «arriviamo al brano di oggi: il figlio di Davide fa la guerra al padre. Vuole il potere: il figlio è già corrotto». Ma «cosa fa Davide? Con quella nobiltà che, dopo il suo peccato, ha riconquistato — anche la penitenza che aveva fatto per salvare il figlio che è morto, il figlio dell’adulterio — riunisce i suoi: “Lasciamo la città, perché non venga a Assalonne — il figlio — e faccia cadere su di noi la sventura e passi la città a fil di spada”, come era l’abitudine in quei tempi».
«Dio inflisse a Davide un duro castigo: “La spada non si allontanerà mai dalla tua casa”», ha ricordato il Pontefice. Ma «lui difende la casa e fugge, se ne va». È forse «un codardo? No, è un padre». E «lascia l’arca tornare», non si mette a «usare Dio, per difendersi». Insomma, Davide «se ne va per salvare il suo popolo: questa è la strada di santità che Davide, dopo quel momento in cui era entrato nella corruzione, incomincia a fare».
Il passo biblico, ha proseguito il Papa, ci presenta Davide mentre sale, piangendo, l’erta degli Ulivi. Aveva «il capo coperto», in segno di lutto, e camminava scalzo. Faceva penitenza. Pure «tutta la gente che era con lui, i più intimi, aveva il capo coperto e salendo piangeva: il pianto e la penitenza». La Scrittura ci fa sapere anche che «alcuni, che non gli volevano bene, incominciarono a seguirlo e a insultarlo». Tra questi, c’era Simei, che lo chiama «sanguinario», ricordandogli «il crimine che aveva fatto con Uria l’Ittita per coprire l’adulterio».
Abisài, una delle persone più vicine a Davide, «vuole difenderlo» e vorrebbe tagliare la testa a Simei per farlo tacere. Ma Davide fa «un passo in più: “Se quest’uomo maledice è perché il Signore gli ha detto: maledici Davide!”». E «poi dice ai suoi servi: “Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita”». Pensa, appunto, a suo figlio Assalonne. E per questo si rivolge ancora ai suoi servi: «Questo beniaminita lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore».
La questione, ha spiegato Francesco, è che «Davide sa vedere i segni: è il momento della sua umiliazione, è il momento nel quale lui sta pagando la sua colpa». Tanto che dice: «Forse il Signore guarderà alla mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi». In sostanza «si affida nelle mani del Signore: questo è il percorso di Davide, dal momento della corruzione a questo affidamento nelle mani del Signore. E questa è santità. Questa è umiltà».
«Io penso — ha proseguito il Papa — che ognuno di noi, se qualcuno ci dice una cosa brutta», reagisce dicendo: «Ma no, io non l’ho fatto, questo non è vero, no!». In pratica noi «cerchiamo subito di dire che non è vero». Oppure «facciamo come Simei: diamo una risposta più brutta ancora». Ma «l’umiltà — ha affermato Francesco — può arrivare a un cuore soltanto tramite le umiliazioni: non c’è umiltà senza umiliazioni». E «se tu non sei capace di portare alcune umiliazioni nella tua vita, non sei umile. È così: io direi così matematico, così semplice!».
Perciò, ha rilanciato il Papa, «l’unica strada per l’umiltà è l’umiliazione». Dunque «il fine di Davide, che è la santità, viene tramite l’umiliazione». Anche «il fine della santità che Dio regala ai suoi figli, regala alla Chiesa, viene tramite l’umiliazione del suo Figlio che si lascia insultare, che si lascia portare sulla croce, ingiustamente», E «questo Figlio di Dio che si umilia, è la strada della santità: Davide, con il suo atteggiamento, profetizza questa umiliazione di Gesù».
Gianni Cioli