Cosa rispondere ai «sedevacantisti»?
Mi trovo a dover far fronte ad una situazione che non avrei mai immaginato si sarebbe venuta a creare nella mia famiglia: i miei parenti, da cattolici praticanti, sono diventati sedevacantisti. Il motivo di questa loro scelta io non lo comprendo, so che hanno parlato con alcuni sacerdoti della chiesa cattolica che non sono però riusciti a riportarli sulla strada giusta. So che la conversione è opera di Dio, e per questa è necessaria la preghiera, però le sarei molto grata se sapesse darmi qualche consiglio per poterli aiutare a capire il loro errore.
Lucia Melani
Il fatto riferito dalla Lettrice, nella comprensibile brevità, non consente di conoscere il contesto in cui è avvenuta l’adesione di alcuni suoi parenti al «sedevacantismo». Per entrare di più nel merito di quanto ci chiede la Lettrice, sarebbe stato utile essere informati, per esempio, sulla religiosità praticata da questi suoi parenti, sulla loro formazione culturale e spirituale, ma soprattutto religiosa e dottrinale a cominciare dai rudimenti che la Chiesa ci insegna.
A proposito della definizione di «cattolico praticante» dobbiamo riconoscere che essa spesso non riflette la vera realtà. Così, alcuni si definiscono «praticanti», ma la loro vita pratica ha poco a che fare con l’identità che si attribuiscono. Vi sono altri che a ogni loro ragionamento premettono di essere «cattolici», ma rettificano subito il loro pensiero per far sapere che hanno opinioni lontane dagli insegnamenti della Chiesa. La conoscenza della Chiesa, per la sua origine divina, incluso la forma istituzionale visibile, non dipende dalle nostre opinioni, bensì dal dono dello Spirito Santo che ininterrottamente è presente e assiste il Popolo di Dio nella Chiesa strutturata gerarchicamente guidandolo alla verità tutta intera.
La definizione «sede vacante» si riferisce alla circostanza in cui viene a trovarsi la Sede Apostolica per la morte del Romano Pontefice o per sua libera rinunzia al ministero petrino, come è avvenuto per Benedetto XVI, fino alla elezione e accettazione del nuovo Pontefice. In dottrina viene preso in considerazione anche il caso della certa e perpetua infermità mentale oppure di posizioni eretiche.
Il Romano Pontefice, successore di Pietro e pastore della Chiesa universale e della Chiesa di Roma, «affinché lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri Apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Lumen Gentium 18, 2).
Il Romano Pontefice possiede per diritto divino la pienezza del potere pastorale che si esprime nel primato petrino con l’esercizio di giurisdizione su tutta la Chiesa, è Vicario di Cristo, ha potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale che può essere sempre esercitata liberamente. La potestà dei Vescovi sulla Chiesa universale è di natura collegiale e presuppone la comunione gerarchica con il Romano Pontefice che è il Capo del Collegio episcopale.
L’autorità del Papa nell’adempimento del suo ufficio di supremo Pastore della Chiesa universale comporta che non si dà appello né ricorso contro una sentenza o un decreto del Romano Pontefice (can. 333 §3) e che durante la vacanza della Sede Romana o in caso di impedimento, nulla si modifichi nel governo della Chiesa universale (can. 335).
La parola «sedevacantismo» richiama la «sede vacante», cioè la vacanza della Sede di Pietro. Si tratta di posizioni scismatiche formatesi dopo il Concilio Vaticano II che reputano vacante la Sede Apostolica dalla morte di Pio XII o, in alcuni casi, dopo la morte di Giovanni XXIII, venendo così a disconoscere il primato del Papa e l’infallibilità pontificia. Per cui i Papi successivi al Concilio Vaticano II avrebbero perso la potestà di governo sulla Chiesa universale.
Tra le correnti sedevacantiste troviamo la «Tesi di Cassiciacum», formulata nel 1979 dal domenicano Guérard des Lauriers. Secondo questa teoria nella figura del Papa entrano due distinte componenti quali la persona fisica e l’autorità papale. La persona fisica ha la capacità di recepire con l’assistenza dello Spirito Santo l’autorità papale e di essere in grado di pronunciarsi con indefettibilità ex cathedra, come fu dichiarato nel 1870 dal Concilio Vaticano I. Secondo questa teoria sedevacantista, quando il Papa entra in contrasto con le proposizioni infallibili dei precedenti Pontefici egli non è più «formalmente» Papa, ma occupa la Sede Apostolica solo «materialmente».
Il punto cruciale per i sedevacantisti è rappresentato dalla dottrina del Vaticano II, soprattutto sull’ecumenismo, sulla liturgia e sulla libertà religiosa. Per i sedevacantisti da oltre mezzo secolo la Sede Apostolica è considerata vacante. Queste posizioni scismatiche non si esprimono soltanto a favore di una disobbedienza verso i papi quando il loro insegnamento è contrario alla Tradizione della Chiesa, ma ritengono anche che i pontefici che convalidano e professano con il loro magistero il così detto «errore del Vaticano II», siano privi in senso assoluto dell’autorità pontificia, oppure, se la posseggono, la esercitino solo in senso materiale.
L’errore di questa tesi non tiene conto dalla natura della Chiesa e del ministero Petrino, quale elemento fondante e perpetuo della stessa Chiesa così come emerge con chiarezza dalla Tradizione e dalla Costituzione Apostolica «Pastor aeternus», promulgata nel Concilio Vaticano I da Pio IX, nei passaggi più salienti quali la visibilità, la perpetuità e il fondamento dell’unità della Chiesa dovuta al primato apostolico.
Il prologo della Costituzione apostolica Pastor aeternus presenta l’istituzione della Chiesa da parte di Cristo, la missione degli Apostoli e la funzione di Pietro quale «intramontabile principio e visibile fondamento» dell’unità della Chiesa, della fede e della comunione. Il cap. II sottolinea la «Perpetuità del primato di Pietro nei Romani Pontefici». Il cap. III espone il «valore e la natura del primato del Romano Pontefice», un primato di potere ordinario e immediato su tutte le altre Chiese. Il cap. IV definisce il «Magistero infallibile del Romano Pontefice» quando parla ex cathedra su una dottrina in materia di fede o di costumi per l’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro.
La persona di Pietro e dei suoi successori è il fondamento della visibilità dell’istituzione della Chiesa e della duplice unità dell’episcopato uno e indiviso (cf. Pastor aeternus, Prologo), «il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Lumen Gentium, n. 18, 2).
Il Concilio Vaticano I definisce anche la dottrina della perpetuità del primato apostolico di Pietro e dei Romani Pontefici, per istituzione del Signore, per rendere continua la salvezza e perenne il bene della Chiesa. Pertanto, è per istituzione dello stesso Signore che il beato Pietro ha sempre dei successori nel primato sulla Chiesa universale (cf. Pastor aeternus, cap. II). In sostanza, la successione a Pietro e il primato su tutta la Chiesa non derivano al Papa per la sua retta dottrina, ma soltanto «in forza dell’istituzione dello stesso Cristo» (Ibid., cap. II).
In dottrina si considera anche la possibilità della sede vacante per notoria apostasia, eresia o scisma del Papa. Per questo caso ci riportiamo all’articolo del padre Gianfranco Ghirlanda, gesuita, che su Civiltà Cattolica n. 3905 del 2 marzo 2013 pubblicò un suo studio dal titolo «Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice» (pp. 445-462): «Il can. 333, § 2, afferma che il Romano Pontefice, nell’adempimento del suo ministero (munus) di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi, anzi con tutta la Chiesa […], a tutela dell’unità della comunione ecclesiale […]. La comunione del Romano Pontefice con la Chiesa e con i Vescovi, secondo il Vaticano I, non può essere comprovata dal consenso della Chiesa e dei Vescovi, in quanto non sarebbe più una potestà piena e suprema liberamente esercitata (can. 331; «Nota Explicativa Praevia» n. 4). Il criterio allora è la tutela della stessa comunione ecclesiale. Lì dove questa non ci fosse più da parte del Papa, egli non avrebbe più alcuna potestà, perché ipso iure decadrebbe dal suo ufficio primaziale. È il caso, ammesso in dottrina, della notoria apostasia, eresia e scisma, nella quale il Romano Pontefice potrebbe cadere, ma come «dottore privato» che non impegna l’assenso dei fedeli, perché per fede nell’infallibilità personale che il Romano Pontefice ha nello svolgimento del suo ufficio, e quindi nell’assistenza dello Spirito Santo, dobbiamo dire che egli non può fare affermazioni eretiche volendo impegnare la sua autorità primaziale, perché, se così facesse, decadrebbe ipso iure dal suo ufficio».
Per concludere, la vacanza della Sede di Pietro protratta oltre i tempi necessari per l’elezione del nuovo Pontefice, è contraria alla natura e al fine della Chiesa. La volontà del Signore fu di concedere specifiche funzioni e potestà di natura salvifica solo e personalmente a Pietro e ai suoi successori. Affermare che la Sede è vacante perché i Romani Pontefici avrebbero aderito all’errore del Vaticano II significa porsi al di sopra dello specifico mandato del Signore dato a Pietro e ai successori e mettersi fuori dalla comunione ecclesiale, soprattutto da parte di coloro che, in quanto vescovi, sono chiamati a essere in comunione con il Collegio episcopale e con il Papa. Aderire alla teoria sedevacantista significa anche cadere nella pretesa di giudicare questioni che coinvolgono l’ambito del Magistero infallibile che Gesù volle assegnare a Pietro e ai suoi successori con l’ufficio di supremo Pastore. Per questo, suggerisco alla Lettrice di continuare a pregare molto, come già sta facendo, per i suoi parenti sedevacantisti, e non solo, perché in questi casi le sole spiegazioni dottrinali non sarebbero mai sufficienti di fronte a posizioni che spesso sono frutto di un modo ideologico di concepire la Chiesa.