Chi convive senza sposarsi può insegnare catechismo?
La catechista di mio figlio, una ragazza molto in gamba, alla quale i bambini sono molto affezionati, ha deciso di andare a vivere a casa del fidanzato dall’altra parte della città. Sono fidanzati da 6 anni, entrambi senza lavoro, e dicono di voler aspettare a sposarsi quando potranno farlo. Lui è credente ma non frequenta la parrocchia. Lei si era resa disponibile a continuare a fare catechismo almeno per completare il percorso fino alla Comunione (questo è l’ultimo anno). Il parroco invece le ha chiesto di interrompere: i bambini ancora non lo sanno, noi genitori siamo molto combattuti. Qual è la scelta giusta in questi casi?
Lettera firmata
Comprendo che la situazione sia dolorosa. Immagino che i bambini si fossero affezionati alla loro catechista e che la catechista si fosse profondamente legata a loro. Comprendo che i genitori possono sperimentare un momento di conflitto fra le ragioni di chi vorrebbe che la catechista continuasse, perché è in gamba e i bambini le vogliono bene, e le ragioni di chi ritiene che debba interrompere il suo servizio per motivi di opportunità. Immagino che anche il parroco viva con dolore la decisione di rinunciare ad una collaboratrice preziosa per il suo ministero di educatore e che anche lui si sia sentito combattuto, se non altro per motivi affettivi.
Ritengo tuttavia che la decisione di interrompere sia stata la scelta giusta. I tagli sono sempre dolorosi ma a volte servono per crescere.
La sensibilità morale nei confronti della convivenza prima del matrimonio è profondamente mutata nel corso degli anni anche fra i cattolici e quello che un tempo scandalizzava adesso appare normale. Ci sono poi ragioni sociali e contingenti, come la mancanza del lavoro, che sembrano spingere verso la convivenza, magari nella speranza che col tempo maturino le condizioni per potersi sposare.
La Chiesa oggi in genere si dimostra comprensiva nei confronti di queste situazioni e delle difficoltà che le generano: non vuole lanciare strali di condanna ma tende la mano invitando a un cammino di conversione. Tuttavia la Chiesa sente anche il dovere di testimoniare l’importanza di determinati valori che ha ricevuto come eredità preziosa dalla propria tradizione e di difenderli per il bene stesso della società. Uno di questi è sicuramente il matrimonio. Detto in poche parole, la Chiesa, affermando che l’amore fra un uomo e una donna deve essere vissuto nel matrimonio, vuole testimoniare che l’amore non è un fatto puramente privato e che deve essere vissuto nella responsabilità. In altri termini l’amore deve essere stabile e aperto alla vita.
Comprendo che si può obiettare che questa prerogativa dell’amore si concilia male con una situazione di disoccupazione come quella descritta nella lettera. Questo potrà rendere più sfumato il giudizio morale su chi sceglie la convivenza prematrimoniale non per puro spirito di disimpegno ma come un compromesso teso a un ideale che al momento non riesce a raggiungere. Proprio perché però di compromesso si tratta si può forse comprendere che tale scelta si coniuga male con la coerenza di vita con la dottrina cattolica che un catechista dovrebbe avere. Il catechista esercita un ministero importante nella Chiesa, un ministero legato alla trasmissione della dottrina, un po’ come il parroco e in collaborazione con lui. Per questo dovrebbe avere l’onestà di rinunciare al ministero, senza ovviamente rinunciare ad essere cristiano, quando si accorge che una sua scelta di vita, anche provvisoriamente, contrasta con la piena coerenza con la dottrina della Chiesa.
Non voglio giudicare persone e situazioni che non conosco, ma per rispondere fino in fondo alla domanda che mi è stata posta, mi viene da dire che sarebbe stato più giusto se la catechista, anziché suscitare aspettative conflittuali nei genitori e nei bambini dichiarando la sua disponibilità a continuare l’insegnamento pur andando ad abitare dall’altra parte della città, si fosse prima confrontata col parroco concordando con lui la decisione da prendere.
Gianni Cioli