Perché si dice che Gesù è «generato, non creato»?
Perché nel Credo si dice che Gesù è «generato, non creato»? Qual è la differenza?
Lettera firmata
Semplificando molto si possono ridurre a due grandi correnti interpretative del mistero trinitario espresso, per fare solo una citazione, nelle parole battesimali nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt.28,19) Una prima corrente, partendo dall’assoluto monoteismo biblico e dalla sua irriducibile trascendenza insegnava che «padre, figlio e spirito santo» erano solo tre modi di manifestarsi ad extra, nella storia, dell’unico Dio che rimaneva nel suo inaccessibile mistero: è il modalismo che tende a liquidare il cristianesimo in un «normale» monoteismo, e Gesù di Nazareth, il personaggio storico «giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio» (Tacito, Annali 15,44) solo uno strumento usato da Dio per manifestarsi. Questa corrente non ebbe molto seguito: troppo lontana dall’annuncio evangelico «il Verbo si è fatto carne», sembrò solo una rielaborazione filosofica dove la novità cristiana veniva ampiamente disconosciuta.
Ben più lungo e complicato fu il cammino dell’altra corrente teologica, il subordinazionismo, dottrina che insegna esservi una gerarchia all’interno della Trinità. Prima di tutto e di tutti c’è il Padre Eterno, l’ingenerato, in definitiva il vero unico Dio (salvando così il monoteismo biblico), poi in subordine il Figlio, il generato, sottolineando che «ci fu un tempo in cui il Verbo non era e il Padre non è sempre stato Padre» (Ario). Il figlio è dunque un dio di secondo ordine «creato» dal Padre perché intervenisse nella creazione del mondo. Uno schema, come già notato, che assomiglia molto al demiurgo platonico e alle sue funzioni. Infine, al terzo posto, lo Spirito Santo. Anche in questo caso vengono utilizzati schemi religiosi (modelli di gerarchie degli dei pagani) e soprattutto filosofici precedenti, particolarmente dal mondo platonico, per esprimere l ’annuncio cristiano.
Ma non solo questo. Nel vangelo vi sono espressioni che possono far pensare ad certo subordinazionismo: «Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me» (Gv. 14,28); e ancora: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv. 17,3) e ancora: «Quanto però al quel giorno o a quell’ora, (il giorno del giudizio) nessuno lo sa, nè gli angeli nel cielo nè il Figlio, eccetto il Padre» (Mc.13,32) E al tempo stesso altre espressioni che parlano di rapporti unici e irripetibili tra il Padre e il Figlio, tra «Il Padre mio e il Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv.20,17). E così anche il Lc. 22,70, la proclamazione davanti al sinedrio della figliolanza divina, con i passi paralleli in Matteo 26,57ss e Marco 14,53ss.. In Gv. 10,30 «Io e il Padre siamo una cosa sola».
E il Prologo di Giovanni (Gv.1,1ss) la confessione di Pietro (Mt.16,16) , di Marta (Gv. 11,27), di Tommaso (Gv. 20,28) e addirittura del pagano centurione ai piedi della croce (Mc. 15,39) proclamano che Gesù è «il» figlio di Dio. Una figliolanza unica (l’unigenito) nel suo genere: se Gesù-Verbo fosse solo una creatura, la prima, la più eccellente, la più perfetta ecc.. allora fra Dio e il Verbo vi sarebbe lo stesso abisso esistenziale esistente tra me e Dio. Entrambi saremmo sullo stesso piano creaturale, lui la prima creatura, io l’ultima, ma entrambi creature… decisamente né schemi religiosi precedenti, anche vereto-testamentari, nè lo schema neoplatonico, caro alla mentalità greca, potevano rendere la fede della chiesa espressa nella Scrittura e nella liturgia.
Queste distinzioni possono sembrare inutili, pretendendo quasi di penetrare il mistero di Dio e di dirlo in categorie umane, così del resto le considerava l’imperatore Costantino, e lontane dalla nostra mentalità e dai problemi di oggi. In realtà esse esprimono, pur nel linguaggio del tempo, la novità del cristianesimo irriducibile a schemi religiosi, filosofici e culturali precedenti. Il cristianesimo non dice quello che è già stato detto, semmai lo assume alla luce della novità di Cristo.
Infine non va dimenticata una celebre espressione di san Tommaso d’Acquino: «actus credentis terminatur ad rem non ad enuntiabile» (Summa Theologica) cioè l’atto di fede riguarda la sostanza, non le formule che la esprimono, anche se queste saranno sempre indispensabili. È compito della teologia trovare parole che esprimano la stessa sostanza in modo comprensibile nelle diverse culture e nel fluire del tempo.