Cos’era il «velo del tempio» che si squarciò alla morte di Gesù?
Volevo gentilmente che mi fosse spiegato il passo del versetto 51 del capitolo 21 del Vangelo di Matteo: «Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono…». Cosa significa che il velo del tempio si squarciò in due? A quale velo del tempio allude l’evangelista?
Giovanni Frosali
Cosa sia il «velo del tempio» è facile da spiegare, più difficile è dire perché l’evangelista ne parli nei termini che la domanda espone. Nel tempio di «veli» (tende) ce n’erano due: uno stava davanti all’altare dell’incenso, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l’altro separava la zona riservata ai sacerdoti da quella del Santo dei Santi, nel quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno nel Giorno dell’Espiazione. Fu quest’ultimo il Velo che si squarciò.
Tanto per dare l’idea della straordinarietà del fatto, lo storico ebreo Giuseppe Flavio diceva che nemmeno due cavalli legati a questa grande tenda, sarebbero riusciti a strapparla. La sua manutenzione era veramente un’impresa: alta quasi venti metri e spessa dieci centimetri, per poterla arrotolare si diceva che ci volessero una settantina di uomini. Il Velo del Tempio (in ebraico Parokhet) rispondeva agli obblighi che il libro dell’Esodo aveva indicato per la costruzione del tempio: «Farai poi una cortina di porpora violacea e scarlatta, di cremisi e di lino fine ritorto, lavorato a ricamo, con cherubini, e l’appenderai a quattro colonne d’acacia ricoperte d’oro, con ganci d’oro e posate sopra quattro basi d’argento. Metterai la cortina sotto i fermagli; e, al di là della cortina, nell’interno, vi collocherai l’Arca della Testimonianza; e la cortina servirà da divisione tra il luogo Santo e quello Santissimo» (Es 26,30).
Ancora oggi nelle sinagoghe è posto un Velo (Parokhet) davanti all’Aron Kodesh (armadio sacro), dove si conservano i rotoli della Torah. Con queste notizie essenziali, siamo in grado di capire l’imponenza e la straordinarietà dell’evento, al quale Matteo unisce il terremoto, una sorta di eclissi (tra l’altro veramente straordinaria, visto che in quei giorni di pasqua c’era il plenilunio e la luna si trovava dalla parte opposta del sole, quindi non avrebbe mai potuto coprirlo) e la risurrezione dei corpi sepolti.
Dunque quest’espressione è inserita in una carrellata di eventi di natura «teofanica» (manifestazione di Dio) che incorniciano l’ultimo respiro di Gesù. Ed è proprio questo, il contesto evangelico in cui viene richiamato lo «strappo» del Velo del Tempio. Questo modo di dire non vuol essere irreverente con uno dei luoghi di culto più cari ad Israele, ma vuol esprimere con efficacia un messaggio teologico. Per prima cosa mi piace far notare, che la grandiosità delle manifestazioni contrastano con la pochezza di un evento “ordinario”, naturale: morire. Ma c’è un altro particolare evidenziato da tutti e tre gli evangelisti e cioè il modo della lacerazione del Velo: «si squarciò in due, dall’alto in basso» (Mt 27,51e Mc 15,38), «si squarciò nel mezzo» (Lc 23,45). Tutti e tre gli evangelisti concordano sul fatto che questo squarcio non è partito dal basso per usura, come sarebbe naturale: anche Luca che non parla né di cima, né di fondo, dice che il taglio avviene nel centro.
Il simbolo è molto denso, perché nella Scrittura «l’alto» è il luogo della trascendenza divina e il «basso» invece della realtà umana. Traendo quindi le prime conclusioni, lo squarcio del Velo del Tempio era prodigioso (al di là delle congetture che lo vedono conseguenza del terremoto): esso ebbe proprio inizio «dall’alto», a partire da Dio, cioè per sua iniziativa, come d’altronde le altre manifestazioni che ci furono intorno alla crocifissione. Se esse furono reali o no non ci è dato di saperlo, ma nella Scrittura si raccontano molte cose «vere» (in senso teologico, in questo caso apocalittico), forse non accadute o forse sì (ci fu un grosso terremoto sotto Ponzio Pilato, databile nell’arco del 26-36 d.C).
Questa conclusione dunque, va meglio puntualizzata calandoci nel contesto di tutto il racconto della morte del Signore. La lacerazione del Velo del Tempio corrisponde all’eliminazione di ciò che si frapponeva tra il luogo dov’era l’alleanza e il luogo dell’offerta e il popolo; quindi l’ultimo respiro di Gesù annulla la separazione cultuale, cioè la distanza tra Dio e l’uomo è colmata da Cristo. Lo spiega molto bene la lettera agli Ebrei quando dice: «Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri attraverso una tenda più grande e più perfetta non costruita da mani d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione: Egli entrò una volta per sempre nel suo santuario, non mediante il sangue di capri e vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (9,11). Gli evangelisti intendono dire, in questo senso, che con l’evento della morte del Signore tutti hanno libero accesso alla salvezza; oppure si può dire con la lettera agli Ebrei che Gesù è il vero sacerdote, con la morte attraversa il velo, lo supera una volte per tutte, compiendo il rito dell’espiazione una volta sola e in modo definitivo. Le due interpretazioni si completano a vicenda.
La cosa più suggestiva, l’ultima consentita allo spazio di una risposta, è pensare che il segno del Velo squarciato esprime a pieno, un messaggio teologico ben preciso dalla duplice valenza: Dio è con noi ogni giorno fino alla fine del mondo, questo ha sancito come nuova alleanza nel suo sangue la Resurrezione del Signore. Lo squarcio del Velo porta a completamento il messaggio: non solo lui è con noi ma ha aperto la strada perché noi, già da ora, possiamo essere con lui. Viene in mente la benedizione di S. Chiara alle sorelle: «Il Signore sia sempre con voi e ora voi siate sempre con lui» (FF2858). Il «Velo», caduto sostanzialmente, scomparirà progressivamente anche dai nostri occhi e vedremo faccia a faccia (1 Cor 13,12).
Giovanna Cheli