Perché Gesù ha trascorso quaranta giorni nel deserto?
I Vangeli ci dicono che Gesù, dopo il Battesimo, trascorse quaranta giorni nel deserto. Che senso hanno questi 40 giorni di deserto? Perché questo ritiro spirituale?
Mario
Prima di rispondere a questa domanda occorre fare una puntualizzazione: i quaranta giorni di Gesù nel deserto forse non corrispondono esattamente ad un ritiro spirituale di nostro Signore, ma ad un’esperienza di vita che riassume tutto il significato della sua esistenza terrena cioè, per dirla con San Paolo apostolo, è un racconto breve del suo «vincere il male con il bene» (Rom 12,21).
Rispondo con ordine distinguendo in due parti la domanda. Gesù sta 40 giorni nel deserto. I tre vangeli sinottici (Mc 1,12-13, Mt 4,1-11, Lc 4,1-13) concordano nel raccontare questo episodio della vita di Gesù, dunque è ben attestato dalla prima tradizione orale e scritta.
Ma perché quaranta? Per ricongiungere idealmente la storia di Gesù, alla storia di Israele che rimase quaranta anni nel deserto prima di giungere alla terra promessa. In questo contesto essenziale, dove il rapporto con Dio è «cuore a cuore» come dice il profeta Osea (2,16), Israele si forma come popolo, riceve la legge, segno dell’alleanza con Dio, acquisisce la sua identità di popolo eletto, purifica pure il suo sentire la fame e la sete, i suoi bisogni primari, riordinandoli alla relazione con Dio che nutre e disseta: una dipendenza da Lui liberante, nella quale la non autosufficienza non è sinonimo di libertà ricattata e schiavitù condizionante; al contrario è la scoperta delle proprie origini divine per cui Israele al limite della propria fame scoprirà – per dirla proprio con il brano delle tentazioni (Mt 4,4) – che «non di solo pane vive l’uomo». Vive, cioè, della relazione con il suo Signore.
In altri termini i quaranta giorni nel deserto (un tempo completo e sufficiente) sono per Israele il tempo di scoperta della propria somiglianza con Dio, o figliolanza che dir si voglia, della sua natura identitaria più profonda: Dio mi nutre perché mi conosce.
Nell’atto di sopravvivere Israele impara a riconoscere l’alito vitale che ha dentro, il dono della vita, il principio della gratuità dell’esistenza. Non si è chiamato al mondo» da solo, esiste per una relazione e nella Relazione. Parlando così di Israele, ho già parlato di Gesù che nei quaranta giorni nel deserto fa la stessa esperienza spirituale di Israele e del primo Adamo: l’evangelista Marco con il suo racconto sintetico delle tentazioni dice chiaramente che Gesù trasforma il deserto in nuovo Eden, dove sta con le bestie selvatiche e gli angeli lo servono. Entro quindi nella seconda parte della risposta. Innanzi tutto si deve tenere presente che tutt’e tre i sinottici collocano il brano delle tentazioni, sempre, tra il battesimo e l’inizio della vita pubblica. Il deserto è il luogo dove Gesù con la sua umanità (la fame) impara a mettersi in relazione con la sua divinità (appena rivelata nel Battesimo: questi è il mio figlio diletto ascoltatelo!).
Si comprende quindi che la prova è quella di accettare la propria identità di vero Dio e vero uomo senza che la prima divenga funzionale alla seconda: «se tu sei il Figlio di Dio…» puoi procurarti pane per l’istinto della carne, ostentazione di abilità per il successo, onnipotenza di potere per il possesso. Gesù supera la tentazione per noi, nella sua umanità solidale con la nostra. Il peccato contro l’amore di Dio è servirsi di lui, non amarlo con tutto il cuore, l’anima, le forze (Dt 6,5). Gesù nel deserto impara a non vivere di ricatti e a mettere l’umanità in relazione di libertà con Dio: ti amo non perché mi servi; è un conflitto interiore antico. Solo dopo inizia la sua vita pubblica che rivelerà la sublimità e la pienezza dell’amore che lo anima: Dio si fa debolissimo per amarci, come «debole – forte» è Gesù che vince la tentazione con la Parola di Dio. Non una formula magica, ma una «parola-progetto» che opera in lui che crede nella Parola udita al fiume Giordano. Tutto lo preparerà alla Croce, quando Satana tornerà nelle sembianze dei passanti: Se sei figlio di Dio scendi dalla croce!, o del ladrone: Se sei figlio di Dio salva te stesso e noi! (Lc 23,35.39). Ma il Figlio di Dio non risponde a questo, altrimenti crederemo per forza; lui ci ama e noi crediamo perché amiamo. Questa è la tentazione superata grazie a colui che ci ha amato dalla Croce e nella sua debolezza ci ha lasciati liberi di rispondere.
suor Giovanna Cheli