Come ha avuto sviluppo la discendenza di Adamo ed Eva?
Come ha avuto sviluppo la discendenza di Adamo e Eva? Attraverso rapporti tra i loro figli?
Gian Gabriele Benedetti
I dati che ci offrono gli scritti biblici riguardo al tema in questione sono laconici. Di fatto non viene specificato in che modo la discendenza di Adamo ed Eva si è sviluppata. Sappiamo che Adamo ed Eva ebbero molti figli (Gen 5,4), in primis Caino e Abele (Gen 4,1-2) e conosciamo anche la vicenda del fraticidio (Gen 4,3-16) che ha portato a una discendenza da Caino (malvagia e irreligiosa; Gen 4,17-24) e in parallelo la discendenza di Set (buona e religiosa; Gen 5,6-32), il figlio «scelto» da Dio (Gen 4,25-26 e 5,3-4) per sostituire Abele, da cui poi si arriverà fino a Noé e il diluvio.
Come avvenne la generazione di queste discendenze? Nulla dice la Bibbia a riguardo e ci si può sbizzarrire in ipotesi, la quali si scontrano tutte sullo scoglio dell’incestuoso. Tentativi di mitigare l’imbarazzo sono stati tentati (ancora non c’era una legge contro l’incesto; la moltitudine di figli e nipoti unita alla longevità permetteva rapporti meno vistosamente incestuosi, ecc.), ma il loro esito non convince tanto che ancora oggi ci si pone la domanda.
La prima riguarda il genere letterario dei primi capitoli della Genesi. Gli studi accurati, compresi quelli di comparazione con letteratura extra-biblica, hanno reso chiaro che Gen 1-11 non può essere considerato una narrazione storica reale, ci sono troppi elementi letterari e storici che portano ad escluderlo. Non possiamo pretendere da questi capitoli che ci facciano la cronaca dei primi giorni e anni della storia umana. In effetti non è esattamente questo il loro scopo e la loro motivazione. Se fosse così incapperemmo in tante aporie e difficoltà come quelle che la domanda sottende. Nondimeno non si tratta di mitologia – la quale ha delle caratteristiche ben precise e riguarda piuttosto personaggi divini – seppure il testo utilizzi chiaramente un linguaggio mitico, e appositamente (vedi la simbologia, la longevità dei personaggi, i luoghi e i tempi segnalati, ecc). Cito quello che disse in una catechesi Giovanni Paolo II: «Il termine “mito” non designa un contenuto fabuloso, ma semplicemente un modo arcaico di esprimere un contenuto più profondo. Senza alcuna difficoltà, sotto lo strato dell’antica narrazione, scopriamo quel contenuto, veramente mirabile per quanto riguarda le qualità e la condensazione delle verità che vi sono racchiuse» (Giovanni Paolo II, Catechesi del 7/11/1979).
Per comprendere questo fenomeno, ovvero di un linguaggio mitico, ma che non comporta una mitologia fabulosa, una analogia può essere ravvisata nel caso delle parabole di Gesù. È chiaro che esse hanno un linguaggio da «favola», e che esse, quindi, non sono cronaca di fatti. Tuttavia esse dicono molto meglio di una cronaca come stanno di fatto le cose e in questo «raccontano» la «vera» storia dell’umanità (vedi ad esempio il figliol prodigo). Così per i primi capitoli della Genesi: «questi testi non vanno presi né come storia, né come mito […] il testo è semmai una proclamazione del rapporto tutto particolare che Dio intrattiene con la sua creazione, dell’atteggiamento tutto speciale di cui la fa segno» (W. Brueggemann, Genesi, Claudiana, Torino 2002, p. 34). Il testo di Gn 1-11 «racconta» – usa cioè la forma narrativa – per provare a dirci il «perché» dell’esistenza e non tanto il «come», che spetta casomai alla storia e alla scienza. Alla stesura di questi capitoli si è giunti con diverso materiale tradizionale in epoca esilica e post-esilica (VI-V° secolo a.C circa) come grande riflessione su tutta la vicenda del popolo di Israele e dell’umanità, in risposta anche alla sfida delle fedi babilonesi – da qui la necessità di utilizzare il linguaggio del mito. Di fronte ai prodigiosi eventi occorsi a questo popolo che scopre in YHWH il Dio unico, ma anche a seguito di tanti fallimenti e sofferenza, si è giunti a domandarsi chi è Dio e chi è l’uomo, ravvisando nei concetti – divenuti narrazione – di creazione, di alleanza, di salvezza nonostante il peccato, la «vera storia» di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio.
La seconda riflessione è più semplice ma istruttiva e deriva dalla prima: quando la Bibbia non specifica e non dettaglia, non è necessariamente una mancanza, anche perché il non dire tutto fa parte dello stile narrativo che questi racconti utilizzano. C’è un principio che traversa tutti i testi biblici ed è che ci viene detto, raccontato, spiegato, quello che ci occorre per camminare nella fede, nella speranza e nella carità. A chi non piacerebbe sapere a che età la Madonna ha partorito Gesù, o che cosa ha fatto nei primi 30 anni della sua vita lo stesso Gesù? E di quante altre curiosità o dettagli vorremmo essere addotti! I testi delle Scritture però non sono stati redatti dai loro autori – sotto l’ispirazione di Dio – per soddisfare le nostre curiosità, ma per farci crescere e operare nella volontà di Dio. S. Paolo dirà: «nessun dono di grazia vi manca» (1Cor 1,7). Abbiamo tutto ciò che ci occorre per camminare nel mondo in santità e grazia – cioè nella comunione con Dio – nella giustizia e nella verità e così raggiungere la meta della nostra esistenza che è la vita con Dio. Il resto non ci occorre davvero, anche se può allettare le nostre curiosità. Quand’anche sapessimo come Caino e Set abbiano generato i loro figli, non avremmo guadagnato un gran ché. I testi come Gen 1-11 contengono la verità sul progetto di Dio nei confronti del creato e dell’uomo; questa è la «verità» che va cercata – il resto può anche essere una non-verità.
Filippo Belli